Non cambia verso: quella è casa sua, e lì comanda lui

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L’elezione di Sergio Mattarella a capo dello Stato a tanti è sembrata l’inizio di un nuovo corso nella strategia del segretario del Partito democratico: prima la ricerca dell’accordo interno su una proposta, poi la discussione della stessa all’esterno. Molti sembravano apprezzare, non ultimi il fondatore de la Repubblica Eugenio Scalfari nel suo ultimo domenicale, dove addirittura si è lanciato a ipotizzare per questo Pd di seconda natura renziana un futuro da Partito d’Azione di massa, e Pier Luigi Bersani durante l’intervista di ieri da Fabio Fazio a Che tempo che fa.

Bene, signori, la ricreazione è finita e si torna al consueto, il verso è sempre lo stesso. Dai giornali di stamattina, i due ascari del renzismo in Largo del Nazareno, Debora Serracchiani, su la Stampa, e Lorenzo Guerini, su il Corriere della sera, chiariscono e mettono in guardia, anzi, sarebbe meglio dire “in riga”: basta con le resistenze nel Pd, la legge elettorale e il cammino e la sostanza degli altri provvedimenti non mutano. E chi avesse mai pensato che quella dell’elezione del presidente della Repubblica fosse la dimostrazione di un nuovo modo possibile di gestire i rapporti interni al partito guidato da Matteo Renzi, è subito redarguito dal superrenziano Graziano Delrio: “non esiste alcun metodo Quirinale; su Italicum e riforme non cambia nulla”.

E non solo sulla legge elettorale e sulle modifiche costituzionali, sia chiaro. Se ancora ieri l’ex segretario Bersani immaginava la possibilità di correggere l’orientamento dell’Esecutivo in alcuni passaggi caratterizzanti, quali il Jobs Act e almeno per quanto concerne la disciplina dei licenziamenti collettivi, è meglio che se ne faccia una ragione. Ma neanche su cose minori, come il tanto discusso e scivoloso provvedimento sui temi del fisco e la depenalizzazione per le evasioni al di sotto del 3% di imponibile, approvato dal Governo alla vigilia di Natale e subito ribattezzato “salva Silvio”. Qui a esser precisa e puntuale è stata la ministra Maria Elena Boschi che, determinata e sicura, ha dichiarato: “avanti col decreto fiscale”.

Insomma, non si cambia verso in quella casa che è il Pd, e nella quale Renzi sta ormai da padrone, più che da coinquilino insieme ad altri. Che poi dovrebbe essere quest’ultimo il senso dello stare in un partito, e non quello del possesso e del determinismo individuale, soprattutto in una formazione, soi-disant fin dal nome, “democratica”, è un altro discorso, e che non conta assolutamente nulla. Qui, o meglio lì, le uniche cose che contano davvero sono quelle che si possono contare: come i voti, appunto.


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