L’Italia e il dialogo sociale europeo

0 0

Le Associazioni europee di rappresentanza delle Aziende – come BUSINESS EUROPE, UEAPME, etc – quelle dei lavoratori di ogni settore – come ETUC, EUROCADRES e CEC, etc. – e la stessa COMMISSIONE EUROPEA sono protagonisti del DSE, una consultazione articolata a più livelli in forma bilaterale o trilaterale tesa a risolvere concretamente problemi sociali, soprattutto se collegati al mondo del lavoro. Numerose Direttive degli ultimi decenni, molte delle quali già convertite in Italia, disciplinano forme e contenuti del DSE ai diversi livelli: aziendale, con i Comitati di Impresa europei – CAE/EWC, presenti nei maggiori Gruppi aziendali con presenza diffusa in Europa  – costituiti attraverso elezioni dirette da Rappresentanti dell’azienda e dai lavoratori;  settoriale, con i 38 Comitati del Dialogo sociale settoriale; intersettoriale, con Comitati del Dialogo Sociale  Intersettoriale; generale con il Vertice Sociale Tripartito.

Inoltre il CESE Comitato Economico Sociale Europeo, elabora per la Commissione pareri e proposte. La Commissione, peraltro, promuove con gli stessi interlocutori Comitati Consultivi, Gruppi di Lavoro, Seminari, Forum di Collegamento, per affrontare e risolvere problemi specifici,

La nascita del DSE si può far risalire al 1952 quando, all’interno della COMUNITÀ EUROPEA DEL CARBONE E DELL’ACCIAIO formata da sei paesi si dette vita a un Comitato consultivo formato da Produttori, lavoratori e distributori.  Il lancio ufficiale del DSE bilaterale risale al 1985, quando il Presidente della Commissione Delors riunì le rappresentanze degli impiegati e degli altri lavoratori.

Il Trattato di Maastricht del 1992 assume DSE come un suo elemento costituente, dandogli il più alto riconoscimento con il “Protocollo sulla politica sociale europea”, allegato ai trattati.

Successivamente, il 18 giugno 1993, il Parlamento europeo approvava all’unanimità la Risoluzione Gil-Robles sulla libera circolazione dei cadres/manager nella Comunità europea, e sul loro diritto alla formazione, all’informazione e alla consultazione nell’ambito del DSE.   Questo Diritto di consultazione è applicabile anche alle categorie dei Quadri e dei Dirigenti costituitesi in Italia dove è stato introdotto con DLGS 06/02/2007 N°25, mentre una Direttiva comunitaria del 1999, recepita da un Decreto legislativo del 2002 ha individuato contenuti e limiti dell’equivalenza dei termini “Dirigenti” e cadres/manager a livello comunitario.

Sul piano sociale e del lavoro, il principale protagonista del DSE intersettoriale è ETUC European Trade Union Confederation che, costituta da 83 Confederazioni sindacali provenienti da 36 Paesi  e da 12 Federazioni sindacali  europee settoriali, rappresenta circa 60 milioni di lavoratori.

EUROCADRES Council of European Professional and Managerial Staff rappresenta circa 5 milioni di impiegati del livello professionale e manageriale all’interno di ETUC, mentre CEC European Confederation of Executives and Managerial Staff raccoglie autonomamente 17 organismi europei che rappresentano circa 1,8 milioni di manager. EUROCADRES e CEC operano del DSE intersettoriale e generale attraverso un Comitato di Coordinamento.

I Comitati Europei di Impresa CAE o European Works Councils EWC si possono costituire sulla base di una direttiva del 1994 aggiornata nel 2009 nelle aziende o gruppi multinazionali con almeno 1000 dipendenti all’interno dei 30 paesi della Comunità Europea e con non meno di 150 impiegati in almeno due Stati.   Anche se un recente studio ETUI valuta che in Europa potrebbero essere attivi circa 1500 EWC, ad Aprile 2011 ne risultavano costituiti 917, relativi a circa 18 milioni di lavoratori in totale, compresi quadri e manager.

Le principali materie trattate dagli EWC – che sono formati secondo la Direttiva istitutiva N° 94/95 CE – sono ben definite e riguardano soprattutto l’informazione e la consultazione in materia di: investimenti, politiche HR, politiche salariali, riduzioni del personale e turn over, chiusura di rami d’azienda.   Si tratta dei temi per i quali in Italia si è consumata inutilmente la dialettica tradizionale tra le Rappresentanze dei Datori di Lavoro e dei Lavoratori senza riuscire a trovare soluzioni condivise o le risposte attese dai Lavoratori stessi.

Peraltro le ricerche svolte dalla Comunità Europea dicono qualcosa che tutti dovrebbero tenere presente, poiché dimostrano che l’attività degli EWC ha un impatto positivo nella formazione delle decisioni aziendali, nell’accettazione delle loro strategie, nella formazione di singole culture condivise, nell’affrontare il change management.

Tornando all’Italia, il DLGS 113/2012 di attuazione della Direttiva 2009/38/CE, pubblicato sulla GU 174/2012, entrato in vigore dal giorno 11 agosto 2012, prevede l’istituzione di EWC nelle Imprese di dimensioni Comunitarie o in Gruppi di Imprese Comunitarie. Peraltro non si conosce l’attività dei CAE/EWC già istituiti in più di 40 importanti Gruppi imprenditoriali a base italiana, tra i quali Autogrill, Barilla, Bormioli, Eni, Ferrero, Italcementi, Marzotto, Marazzi, Prysmian, anche se le norme identificano Aziende e Lavoratori come soggetti attivi del DSE a livello aziendale. Le Rappresentanze di questi soggetti dimenticano il DSE quando agiscono e si confrontano in Italia, per poi dialogare costruttivamente in Europa ai livelli intersettoriale e generale.

È evidente che si è lontani dalla realtà sindacale partecipativa e non rivendicativa della governance Wolksvagen e di tante altre aziende del Nord Europa.

Le posizioni italiane sorprendono, poiché in Europa i risultati sono concreti.

Tra gli accordi realizzati nell’ambito del DSE settoriale si possono ricordare: quelli relativi alla licenza Europea per i macchinisti ferroviari addetti ai servizi di frontiera e quello relativo alla difesa sul piano sanitario e alle best practice per i la voratori del Silicio.  Il DSE intersettoriale ha determinato tra l’altro: la Direttiva 96/34/EC sul Congedo parentale e la 97/81/EC sui Lavoratori part-time.  A livello di DSE generalista – vedi i casi di  Francia, Germania, Polonia –  le parti sociali hanno messo a punto strategie condivise e articolate caso per caso con importanti accordi nazionali intersettoriali contro la crisi economica, agendo ad esempio su:  pressione fiscale, livelli retributivi, competitività, assistenza sociale,  politiche attive del lavoro.

E’ utile ricordare che nonostante la posizione del Governo nell’abito del Semestre Europeo fosse favorevole al DSE, non c’è stata la sua reale introduzione nel mondo del Lavoro. Così il nostro contesto economico è stato privato di un importante fattore competitivo, mentre si è favorito l’“avvitamento” su sé stessa della crisi occupazionale dei giovani o degli over 40-50 e il restringimento del mercato del Lavoro al solo contesto nazionale, se non a quello delle Regioni.

Come si possono spiegare queste “disattenzioni”? Da un lato può affacciarsi il sospetto che in Italia l’aspirazione a mantenere inalterato il protagonismo politico di alcuni vertici delle stesse parti sociali sia prevalente e prioritaria, dall’altro che una parte cospicua del nostro sistema industriale veda nell’introduzione del DSE una minaccia per la propria posizione dominante nell’ambito della classe dirigente o del sistema economico-finanziario del Paese.

Sembra sempre più auspicabile che la posizione delle autorità politiche e di Governo – tendente ad  ascoltare le parti sociali per riservarsi decisioni autonome – diventi sempre più apertamente coerente con il DSE per evitare equivoci sul valore della sua autonomia.

(*) Presidente FECC
Federazione Europea dei Manager delle Costruzioni
aderente a CEC Conféderation Européenne des Cadres
www.cec-managers.org


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21