Il semestre che non c’è stato

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Non è stato neanche male il discorso che Matteo Renzi ha tenuto ieri nell’Aula di Strasburgo: un passaggio su Dante, i soliti riferimenti omerici, il cavallo di battaglia del premier riguardante la strage del ’95 a Srebrenica, un commosso ricordo della Shoah, di cui quest’anno ricorre il settantesimo anniversario, e una netta condanna della barbarie jihadista che ha sconvolto la Francia. Fin qui tutto bene. Il guaio, risentendolo, è che uno si domanda: ma chi può non essere d’accordo con simili argomenti? Chi può non indignarsi per una donna arrestata e condannata a morte per via della sua fede? Chi può arrivare alla malvagità di non esprimere solidarietà a Hollande e all’intero popolo francese per i fatti che hanno sconvolto Parigi negli ultimi giorni? Se non altro per ipocrisia, convenzioni personali ed elettorali e ragioni di diplomazia internazionale, nessun leader mondiale, su questi temi, avrebbe il coraggio di dirsi in disaccordo.
Poi arriviamo alle questioni sulle quali, invece, è giusto dividersi e troviamo il vuoto. Un vuoto assoluto, come vuoto è stato questo semestre nel quale l’impatto della leadership italiana è stato pressoché nullo: mancanza di contenuti, mancanza di idee, mancanza di proposte, mancanza di risultati, mancanza di prestigio, errori grossolani nella gestione dei vari appuntamenti, incapacità di stringere alleanze con i pochi progressisti rimasti in Europa per arginare, contrastare e invertire la rotta di un rigorismo cieco e controproducente che sta conducendo il Vecchio Continente nel baratro della deflazione, della crisi e della disperazione, ossia l’esatto opposto della speranza, delle prospettive e delle aspettative per il futuro di cui il nostro eroe si riempie la bocca a ogni piè sospinto.
Sul tema del lavoro, a dire il vero, il Premier ha ottenuto dei risultati: uno peggiore dell’altro. Lo smantellamento dell’articolo 18, lo stravolgimento di fatto dello Statuto dei lavoratori, una pessima legge, il Jobs Act, che, oltre a non creare un solo posto di lavoro, rischia di causare la scomparsa dei pochi che sono riusciti a resistere agli effetti della crisi e non una parola contro i dogmi liberisti che sono i veri nemici dell’Europa e della sua unità politica, nulla contro la scomparsa della persona umana dai radar delle classi dirigenti, nulla contro la mercificazione di ogni diritto, elogi al TTIP (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) e un drammatico, imbarazzante silenzio sull’esclusione delle periferie, degli ultimi, di chi si sente ormai ai margini di una società che premia solo chi ha la fortuna di vivere ai piani alti e lascia gli altri nelle mani dei predicatori di odio da una parte e delle Marine Le Pen dall’altra.
Perché la solidarietà a Parigi per la strage che ha subito è sacrosanta, ci mancherebbe altro, ma un uomo politico del livello di Renzi non può tacere sulle nostre responsabilità, sulla nostra disattenzione, sul nostro perseguimento della logica del profitto a tutti i costi, sulla subalternità morale e culturale della sinistra a questa deriva, sulle conseguenze drammatiche dell’impoverimento collettivo, che è prima di tutto un impoverimento culturale ed etico, sull’insostenibilità di un modello di sviluppo dannoso, pericoloso ed élitario, in cui per chi ha poco ci sarà sempre meno, se non la promessa delle vergini in Paradiso da parte di qualche seminatore di violenza e il miraggio di una società perfetta da parte dei degni eredi di coloro che settant’anni fa condussero milioni di persone nelle camere a gas in quanto ebrei, omosessuali, disabili o, semplicemente, persone che si rifiutavano di sottostare a quest’immensa barbarie.
Tralasciamo l’inesperienza, la scarsa abilità diplomatica, il cattivo giudizio che danno di noi a Bruxelles, l’incomprensibile scelta di non confermare Moavero Milanesi alla guida del dicastero delle Politiche comunitarie e persino l’incaponimento del premier sul nome della Mogherini, quando è noto “urbi et orbi” che tanto i socialisti quanto i popolari avrebbero preferito di gran lunga Letta alla guida del Consiglio europeo, tralasciamo tutto questo ed entriamo nel merito delle questioni.
Nel semestre italiano, benché il PD abbia eletto a Strasburgo Cécile Kyenge, non è stata detta una parola sull’importanza dell’immigrazione e della costruzione di una società multietnica che potrebbe trasformarsi nella nostra più grande risorsa per uscire dalla crisi e invece sta diventando l’emblema delle nostre chiusure e della nostra incapacità di capire e guidare i cambiamenti in corso a causa dei continui cedimenti alla propaganda della peggior destra di sempre in materia di diritti, al punto che siamo stati capaci persino di rivendicare come un successo lo smantellamento di un’operazione come “Mare Nostrum”, sostituita dell’inefficiente “Triton” che è poco più che un’azione di pattugliamento.
Abbiamo deciso di acquisire temporaneamente l’ILVA di Taranto e non ci siamo preoccupati di proporre un piano industriale europeo, accantonando una volta per tutte l’insostenibile individualismo thatcheriano tanto caro ai conservatori quanto insostenibile in un mondo globale nel quale la solidarietà, oltre ad essere necessaria, è assolutamente imprescindibile.
Abbiamo parlato del Piano Juncker per la crescita, poi rivelatosi una mezza presa in giro, e non abbiamo definito gli obiettivi del medesimo.
Abbiamo parlato e straparlato di scuola e cultura senza porci la fondamentale domanda: ma cos’è oggi l’Europa? Qual è la sua identità? Quali sono i suoi obiettivi? E perché dobbiamo continuare a definirci europei oltre che italiani, inglesi, francesi, spagnoli o tedeschi?
Abbiamo parlato di tutto e, in fondo, di niente, come sempre accade quando si procede abbagliati dalle luci della propaganda e storditi dai rumori assordanti del proprio presunto trionfo; abbiamo comunicato molto, mostrato moltissimo e ottenuto in cambio i soliti pareri sprezzanti, i soliti stereotipi sui difetti degli italiani, la solita accusa di scarsa serietà, la solita mancanza di considerazione e rispetto, il solito isolamento, sublimato ieri da quell’Aula semi-vuota che è un evidente giudizio politico nei confronti di un semestre nato fra grandi speranze e grandissime illusioni e conclusosi nell’assenza dei molti e nelle urla sguaiate di alcuni soggetti che certo non fanno onore al nostro Paese.
Ha perso Renzi e con lui l’Italia, e questa figura da provinciali in gita-premio non ci aiuterà di certo a conseguire i nostri obiettivi. L’euforia della camicia bianca, purtroppo, non basta, come non basta il plauso fasullo di quegli esponenti politici che non stanno apprezzando l’azione del governo ma semplicemente promuovendo la propria carriera.


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