I diritti umani e la nostra indifferenza

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Per una volta, sarebbe sbagliato prendersela con l’Occidente come entità astratta e scaricare su di esso tutte le colpe dell’indifferenza che circonda i crimini contro l’umanità che vengono perpetrati ogni giorno in paesi con i quali le nostre democrazie fanno affari d’oro. Il problema, infatti, siamo noi cittadini che consentiamo alle nostre classi dirigenti di comportarsi in questo modo, senza correre nemmeno il rischio di subire una minima sanzione morale.

Prendiamo, ad esempio, l’Iran del “moderato” Rohani, dove una settimana fa è stata impiccata la povera Reyhaneh Jabbari, rea di essersi difesa da un tentativo di stupro ferendo (perché pare che non sia stata lei a ucciderlo, anche se questa è la tesi accreditata dall’accusa che, purtroppo, le è costata la condanna a morte) l’autore di quest’ignobile gesto. Ebbene, stando a ciò che asserisce la scrittrice iraniana Azar Nafisi, il regime starebbe consentendo lo scempio compiuto dalle frange più oltranziste ai danni delle donne “per legittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica”. E aggiunge: “Le donne, come le minoranze religiose, come i giovani istruiti, sono viste come un pericolo. Il livello di libertà di cui godono le donne in ogni paese dà la misura del livello di civilizzazione di una società. Un potere che non crede davvero nella religione usa le donne per tenere sotto controllo la gente”.

Già, le donne e il loro desiderio di bellezza, di poesia, di libertà, la loro volontà di fotografarsi e sentirsi libere, di curare il proprio aspetto fisico, mettere il rossetto e laccarsi le unghie, di liberarsi dei veli e delle costrizioni: tutto questo è intollerabile per una teocrazia che si fonda unicamente sul terrore e sulla soggiogazione dei cittadini, sulla repressione feroce e sul pugno di ferro nei confronti di qualunque forma, sia pur minima, di dissidenza.

Non a caso, proprio Reyhaneh, in un messaggio registrato in aprile, disse alla madre: “Il primo giorno che nell’ufficio della polizia un agente anziano e non sposato mi ha picchiata per via delle mie unghie, ho capito che la bellezza non è fatta per questi tempi. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligrafia, la bellezza degli occhi e di uno sguardo, e persino la bellezza di una voce piacevole”. Il suo appuntamento col boia era solo rimandato, la sua vita è stata spezzata da un cappio ad appena ventisei anni e a toglierle lo sgabello da sotto i piedi è stato proprio il figlio dell’uomo che le aveva fatto del male, il quale sarebbe stato disposto a perdonarla se solo avesse ritrattato, negando il tentativo di stupro, ammettendo di essersi inventata tutto e, di fatto, accusandosi di una colpa ancora più grave e inaudita, lesiva della sua stessa dignità.

Tuttavia, ora che la vicenda di Reyhaneh ha cessato di suscitare indignazione, sono assai pochi i mezzi d’informazione che danno voce alla tragedia di Asia Bibi, condannata a morte in Pakistan per aver “insultato” il profeta Maometto o di Ghoncheh Ghavami, arrestata in giugno e condannata a un anno di reclusione per aver tentato di assistere a una partita di pallavolo maschile, sfidando uno dei tabù del regime degli ayatollah.

Allo stesso modo, se non ci fossero padre Alex Zanotelli e pochi altri “santi” moderni, nessuno verrebbe a sapere cosa accade in Africa: le guerre dimenticate, i conflitti tribali, i genocidi, le razzie, le violenze d’ogni genere all’indirizzo di donne e bambini, i frequenti colpi di Stato e persino ebola, se non avesse fatto capolino nelle nostre società dominate dall’egoismo, sarebbe stata considerata l’ennesima tragedia africana di fronte alla quale scrollare le spalle o, al massimo, prodursi in un’ipocrita commiserazione dei “poveri popoli sofferenti”.

“A me che importa?” si è domandato papa Francesco, sferzando il nostro menefreghismo, la nostra grettezza, la nostra pochezza morale, la nostra miseria culturale e la ristrettezza dei nostri orizzonti. Che importa quando a soffrire e morire sono gli altri? Che ce ne importa dei diritti degli iracheni, falcidiati prima dalle bombe anglo-americane e poi dai continui attentati terroristici del fondamentalismo islamico, tornato in auge dopo la repressione subita sotto Saddam? Che ce ne importa dello strazio della popolazione di Kobane e della barbarie cui sono sottoposti i curdi? Che ce ne importa dei migranti che affogano a decine, talvolta a centinaia al largo delle coste lampedusane e che ora, dopo la sostituzione di Mare Nostrum con la quasi inutile operazione Triton, hanno ottime probabilità di annegare in massa senza che si sappia nulla delle loro storie e delle ragioni per le quali fuggono da un continente in fiamme? E della Siria chi ne parla più? E della feroce dittatura che opprime l’Eritrea? Poi, magari, scopriamo che i jihadisti ce li abbiamo in casa, che le truppe dell’ISIS sono composte anche dai nostri vicini, ragazzi apparentemente normalissimi, compagni di giochi nostri o dei nostri figli, e allora ci poniamo qualche domanda ma dura un attimo, giusto il tempo di preoccuparci di noi stessi e della nostra incolumità, per poi tornare alle nostre attività quotidiane, tanto a morire sono altri, a venire sgozzati sono dei poveri cristi per i quali sì, ci dispiace, ma in fondo si sarebbero anche potuti scegliere un mestiere meno complesso e pericoloso!

Della strage di Gaza e del martirio dei palestinesi, infine, se ne parla sempre il meno possibile perché, tutto sommato, il governo israeliano è importante per mantenere gli equilibri di quella regione-polveriera e poi è meglio non inimicarselo, anche se compie azioni riprovevoli che nulla hanno a che vedere con i principi dell’ebraismo o con la sacrosanta tutela del popolo ebraico dai rigurgiti di antisemitismo che purtroppo infestano il Vecchio Continente.

Come ha spiegato sempre la Nafisi, a proposito dei rapporti dell’Occidente col governo di Teheran: “Credo che i rappresentanti di una società democratica, siano membri del governo o della stampa, quando si confrontano con un regime come quello iraniano dovrebbero ricordare quali sono i loro principi fondativi, non inchinarsi o far finta di non vedere solo in nome di un possibile accordo sul nucleare. Credete davvero che faccia parte della nostra cultura uccidere una ragazza che ha tentato di difendersi da uno stupro? Gettare acido sulla faccia delle donne? Dare in sposa una tredicenne a un uomo molto più anziano di lei che ha già due mogli? Non è questo l’Iran vero. L’Iran vero è quello della gente stremata dalla crisi economica, soffocata dall’inquinamento, minacciata dal fanatismo di chi usa la religione per terrorizzare il popolo. Forse, se Rohani sapesse che per tutto questo non c’è impunità si sentirebbe più responsabile per la maniera in cui gli iraniani vengono trattati”.

Già, ma a volte sorge un sospetto atroce: ma i nostri paesi, un tempo culla dei diritti e delle libertà fondamentali, possono ancora definirsi società democratiche?


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