L’armata branca Leopolda

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Al momento chi non sta pagando sulla propria pelle (vere e proprie lacerazioni da frustate), ma sta a guardare e spesso soffrire più o meno in silenzio,  riscontra almeno un paradosso nel PD: il cosiddetto partito dei lavoratori è riuscito a dividersi in due tronconi. Quelli che il lavoro l’avevano sempre avuto e che hanno insegnato ai loro figli in che ne consisteva il concetto –per decenni loro insegnato dalle italiane politiche sociali, economico-finanziarie, imprenditoriali– e quelli che il lavoro (perché ancora ce l’hanno) pretendono d’insegnare a quegli altri -che nel frattempo l’hanno perduto, anzi gliel’hanno portato via-  com’è che si deve lavorare ovvero com’è che si deve ristrutturare il concetto (l’idea/l’ideologia?) del lavoro. Questa è in sintesi la differenza tra Piazza e Leopolda.  Tra i paladini dei due schieramenti da un lato abbiamo i Camusso, Landini, Bindi, dall’altro i Renzi, poi Renzi, ma anche Renzi (a parte quel “quanto basta” di Boschi e Serracchiani per aggiustare il sapore). I filosofi e sociologi sostengono perfino che lo scambio d’opinioni  Bindi-Serracchiani è da paragonare al binomio Madonna-Suor Cristina. Mica per l’intonazione di «Like a Virgin» (e ci mancherebbe: semmai era meglio «Frozen»), ma proprio perché accomunate da identica trasmissione di messaggio universale: il bisogno impattante, fortissimo, necessario di rivoluzione. Insomma, la Leopolda  sta parlando di vera e propria roba per “Mao: chi era costui?!”.

Al momento i fatti si concentrano su molti “armiamoci e partite”, troppi “c’è chi arranca e c’è chi branca” per non parlare poi dei paraculi che, alla grande, hanno svalutato i paradossi, ma sono i messaggi che contano, sicché tiriamo(gli) su le maniche.


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