Il Sinodo e la riscoperta della fratellanza universale

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Un Sinodo conciliare, un nuovo clima nella Chiesa che si apre al domani, il ritorno allo spirito di Paolo VI, peraltro beatificato da papa Francesco al termine del dibattito che potrebbe avviare una vera e propria rivoluzione nel mondo ecclesiastico: sono questi gli aspetti da cui partire per analizzare il grande dibattito che è iniziato in Vaticano sul tema della famiglia e che terminerà nell’autunno del prossimo anno con il Sinodo ordinario e le decisioni finali di papa Francesco.

Sono, pertanto, sbagliate e fuori luogo le conclusioni di chi parla, in maniera oggettivamente avventata, di una discussione che non cambia nulla e conserva immutato l’assetto dottrinario su due questioni cruciali come la comunione ai divorziati e l’accoglienza degli omosessuali nel contesto universale della Chiesa. Per ora è così ma conoscendo papa Francesco, la sua determinazione e il suo desiderio di cambiamento, siamo certi che da qui a un anno nulla sarà più come prima in un ambiente che ha onestamente perso gran parte del suo prestigio e della sua credibilità a causa non solo degli scandali legati alla pedofilia ma, più che mai, delle sue chiusure anacronistiche, della sua incapacità di comprendere la realtà del Ventunesimo secolo, dei suoi pregiudizi nei confronti di nuove forme d’amore e di famiglia che non escludono affatto il rapporto con Dio e la presenza della spiritualità nella vita delle persone ma, semplicemente, li esplicano in altro modo, incarnando un cambiamento d’orizzonte e di visione di fronte al quale la Chiesa ha il dovere di non rimanere insensibile.

“Dio non ha paura delle novità!” ha esclamato papa Francesco beatificando Montini, aggiungendo che bisogna anzi “scrutare attentamente i segni dei tempi” come fece “il grande timoniere del Concilio Vaticano II”. E così, dopo aver accostato il messaggio evangelico ad alcuni tratti del pensiero marxista, dopo essere andato a Lampedusa a rendere omaggio agli ultimi della Terra, vittime della “globalizzazione dell’indifferenza”, e dopo aver instaurato con i giovani un rapporto, se vogliamo, ancora più profondo di quanto non fosse quello di Giovanni Paolo II, papa Bergoglio ha inaugurato, di fatto, una nuova stagione conciliare, determinato com’è a traghettare la Chiesa nel Terzo millennio.

D’altronde, basta osservare i suoi gesti, la sua spontaneità, il suo modo di vivere frugale e in piena sintonia con il principio di una Chiesa povera e dalla parte dei deboli, per rendersi conto che la vera guida morale e spirituale di Francesco è costituita dalla luce del pensiero di Carlo Maria Martini: il primo a scagliarsi contro l’arretratezza di un ambiente nel quale, negli ultimi anni di vita, faceva sempre più fatica a riconoscersi; un ambiente che aveva sferzato asserendo che è “in ritardo di duecento anni” rispetto alla contemporaneità e al quale aveva contrapposto la sua passione per il dialogo, il confronto, l’ascolto e la comprensione delle ragioni dell’altro.

E sbaglia anche chi pensa che il suo predecessore, senz’altro più conservatore e meno incline all’apertura e al dialogo, sia quel retrogrado che è stato descritto erroneamente da una parte della stampa e dalle frange più estreme dell’anticlericalismo di maniera perché basta rileggersi l’enciclica “Caritas in veritate” per rendersi conto di quanto ci sia, nelle parole e nei messaggi di Francesco, della condanna rivolta da Benedetto XVI contro il liberismo sfrenato e selvaggio, contro la negazione della dignità e dei diritti degli esseri umani, contro un paradigma economico che toglie spazio alla fede e al rapporto con Dio per ricondurre ogni aspetto dell’esistenza al materialismo e alla brama di ricchezza e soddisfazioni immediate. Come sbaglia, infine, chi pensa che i temi economici e sociali affrontati, più volte, sia da Ratzinger che da Bergoglio, abbiano poco a vedere con il valore della famiglia e del rispetto per la diversità: non è affatto così.

Il messaggio che ci giunge da una Chiesa che sta spalancando porte e finestre al mondo riguarda, in particolare, la nostra concezione della vita e dell’uomo, di ciò che è altro da noi ed erroneamente ripudiamo a causa delle nostre chiusure e della nostra miseria morale, del povero, del disabile, di chi ha meno mezzi e meno conoscenze, e ci invita con fermezza a imboccare nuovamente il cammino di una fratellanza universale, di un percorso basato sulla condivisione e sul rispetto, sull’amicizia e su una forma globale di amore, tolleranza e solidarietà.

Non a caso, alcuni dei concetti ricorrenti nelle diverse fasi del Sinodo concernevano la trasparenza e l’abbattimento di tutti i dogmi e di tutti i tabù, a dimostrazione di una Chiesa tornata vitale e protagonista sulla scena del mondo e destinata ad accrescere sempre di più la propria influenza, soprattutto in un Occidente devastato dalla crisi e dall’incertezza in cui è rimasta l’unica istituzione ad innalzare una bandiera di pace e speranza per il futuro.


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