Rai, si faccia lo sciopero. Ma l’11 giugno, i dipendenti Rai si rechino al lavoro, e a fine giornata devolvano la retribuzione ad un fondo di solidarietà

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Caro Direttore,

come ricorderai, Egisto Corradi amava dire che il vero giornalismo è quello che si pratica con la suola delle scarpe. Ma non occorre consumare troppa suola di scarpe per annusare l’aria che tira nei confronti di Rai, la nostra tv. È sufficiente, trovandosi nei pressi, inoltrarsi in una metro o bus, in un bar o mercato qualsiasi di un paese o città, dal nord al sud, isole comprese; è sufficiente inoltrarsi lì con un bollettino in mano del canone Rai. Gli sguardi infuocati e incrociati su quel pezzettino di carta rischierebbero di bruciarlo come fosse convogliato lì un raggio di un sole d’agosto riflesso da una lente normale. D’altra parte sondaggi o no, è ormai comunemente accettata la tesi che per gli italiani il canone Rai sia una tassa concepita come la più odiosa tra il mazzo. E un motivo pur ci sarà.
Quale giornalista, collaboratore di Rai, pur esterno, in un rapporto di fatto in via esclusiva ormai ventennale, potrò confidare la rabbia e le frustrazioni subite nel corso di riprese televisive, in veste di reporter impegnato nell’inchiesta di turno, nell’esser accolto con lo sberleffo alle spalle delle telecamere Rai, da un coro dall’urlo sguaiato: Italia uno! (Ricordo quell’urlo a mo’ di sberleffo, Italia uno! che in particolare mi assalì nel quartiere napoletano di Scampia. Poi gli abitanti del quartiere quando compresero che mi trovavo lì per raccontare la Napoli “che fa, resiste e che ce la fa” pur in un contesto di estremo disagio, cambiarono opinione. E i vertici Rai avrebbero poi benedetto quel lavoro come “un fiore all’occhiello di Rai, di cui Rai ne andava orgogliosa..”. Lo dissero a voce alta, giunti sul posto, nel quartiere di Scampia, per riannodare un filo troppe volte spezzato tra Rai e il suo pubblico, composto di telespettatori, persone in carne e ossa).
In ogni caso, nel paese si è radicato ormai un sentimento ostile verso Rai, in larga misura ingiusto, ingeneroso e fuorviante, cavalcato dai populisti di turno. Sì, è vero, la Rai sarà pur stata e forse sarà ancor oggi terra di sprechi, nepotismi, campo di riserva di partiti, lobbie e salotti. Ma Rai, la nostra tv, è composta da una miriade di lavoratori perlopiù sconosciuti, persone oneste e perbene. E a costoro è dovuto rispetto.
Nella sede Rai di viale Mazzini, in una parete accanto alla sala degli Arazzi, una targa ricorda Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marco Luchetta, Dario D’Angelo, Alessandro Ota, Marcello Palmisano. Donna e uomini Rai, morti ammazzati nel corso del proprio lavoro. Falciati sul campo, compiendo il proprio dovere nel corso di un‘inchiesta per Rai, per informare il pubblico Rai. Operatori di una libera informazione, al servizio di Azienda Rai e Pubblico Rai, concepiti quale unica identità di riferimento.
In generale, la nostra tv, ribadisco, è composta perlopiù da persone perbene. Persone sconosciute al pubblico che ogni mattina si svegliano e si recano al lavoro, compiendo il proprio dovere. In molti casi, buttando il cuore oltre l’ostacolo. Dipendenti, collaboratori esterni, partite Iva, free lance o t.d. Un popolo anonimo che in silenzio tiene su la baracca. La Rai, che si voglia o no, è un patrimonio immenso, che va conservato, tutelato, in uno sforzo collettivo all’insegna di un senso comune di responsabilità. Sì, è vero, non c’è tempo da perdere. L’azienda necessita di riforme inderogabili, ineludibili, imprescindibili. Il neo presidente dell’associazione dei dirigenti Rai, AD Rai, Luigi De Servio, seguendo una sua dichiarazione, avrebbe l’intenzione di chiamare presto a raccolta autori interni ed esterni, insomma tutti coloro “che hanno fatto e fanno la Rai”, per disegnare insieme una Rai al passo coi tempi. Un’idea da seguire con attenzione e chi vivrà vedrà.
Auspicando altresì dibattiti e confronti costruttivi all’interno dell’intera collettività.
Ma i tempi stringono. Già, la lotta agli sprechi è sacrosanta e dovuta. Il bisogno di soldi per una cassa comune, è l’assillo imperante. Nonostante il dg di Rai, Gubitosi, abbia intrapreso da mesi la strada della revisione della spesa pubblica (la famigerata spending review), ponendosi l’obiettivo di evitare tagli a tappeto, previlegiando meriti, professionalità, talenti e contenuti, il governo Renzi chiede a Rai di mettere sul piatto 150 milioni di euro. Per alcuni è un colpo di mannaia che affonderebbe inesorabilmente la Rai. Insomma, un vero colpo di grazia. Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, alza gli scudi e in segno di protesta indice uno sciopero per il prossimo 11 giugno. E scoppia il bailamme. Renzi lo giudica “indegno”; il Garante “illegittimo”; la Cisl si smarca; Cgil e Uil tirano dritto. E tra le file di Usigrai si profilano crepe. Il segretario di Usigrai, Vittorio di Trapani lancia il guanto a Renzi. “Finalmente siamo al cuore del tema: finalmente si parla di riforma della Rai e del servizio pubblico. Se è questa la partita che Renzi vuole fare, noi ci stiamo. Del resto – prosegue Di Trapani – lo chiediamo da anni, ma ora Renzi agisca subito: fissi le tappe, con tempi certi e serrati. Noi diciamo che si può fare in 60 giorni in 5 mosse: rinnovo della concessione subito nel 2014, rottamazione dei partiti e dei governi dal controllo della Rai, lotta all’evasione, canone sociale, e riorganizzazione aziendale”.
Ma lo sciopero a quanto pare si farà. Schermi dunque oscurati il prossimo 11 giugno?
E nel caso non occorrerà consumare troppa suola di scarpe per carpirne gli effetti, dal nord al sud, isole comprese. I marosi dell’ostilità (ingiusta o no) della popolazione italiana, in particolare verso il canone Rai e sulle corporazioni (presunte o reali) di Rai, diventeranno uragano e tempesta?
Ora, caro direttore, la proposta è semplice. Una proposta all’insegna della responsabilità. Si faccia lo sciopero. Sì, si faccia. Ma il prossimo 11 giugno, i dipendenti Rai si rechino al lavoro, svolgendo normalmente il compito assegnato e previsto. E a fine giornata devolvano la retribuzione prevista per quel turno di lavoro appena svolto, ad un fondo di solidarietà. Una protesta di grande civiltà, al servizio della dignità. Nel segno della responsabilità. Perché è di responsabilità che abbiamo bisogno. Per il presente e futuro, di Rai e del nostro paese. Insomma, di tutti noi. Invece di metterci di traverso, dovremmo tutti noi, gli uni accanto agli altri, unirci in uno sforzo costruttivo e comune. Per il bene comune.

* giornalista, autore televisivo


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