Intimidazione ad un giudice popolare

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Alla vigilia dell’ultima udienza del processo per il delitto di Mauro Rostagno un attentato incendiario colpisce uno dei giudici della Corte di Assise. Il fatto è accaduto a Mazara del Vallo

Gli investigatori della Squadra Mobile di Trapani da lunedì notte sono impegnati a far luce sull’incendio di una autovettura, una Panda, di proprietà di un pensionato, cognato di uno dei giudici popolari della Corte di Assise di Trapani che sta giudicando i conclamati mafiosi, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, accusati, rispettivamente, di essere il mandante e il killer del sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Un delitto che risale al 26 settembre del 1988. Il fatto, accaduto a Mazara del Vallo, viene ricondotto come una intimidazione al giudice popolare, sebbene l’auto sia del cognato, perché chi ha agito ha dapprima forzato la vettura, l’ha messa in moto e fatta fermare dinanzi al portone di casa del giudice appiccando a questo punto le fiamme. I poliziotti della Squadra Mobile stanno esaminando a fondo il caso. Il giudice popolare si occupa anche di cooperative, ricoprendo responsabilità a livello provinciale. Non è dunque certo che l’attentato incendiario sia da collegare al fatto che l’uomo ricopre l’incarico di giudice popolare nel processo per il delitto Rostagno, ma come spesso ricordava il giudice Giovanni Falcone nei suoi discorsi, “in Sicilia niente avviene per caso”. L’intimidazione è stata compiuta a poche ore dall’udienza di mercoledì scorso del processo per il delitto Rostagno. Si è trattata dell’udienza che ha ufficialmente chiuso la fase dibattimentale che, si ricorda, va avanti da tre anni.  Il prossimo 11 aprile comincerà infatti la discussione e la parola andrà ai pm Gaetano Paci e Francesco Del Bene per la loro requisitoria. Le ultime udienze di fatto hanno segnato un punto importante a favore dell’accusa. In particolare una perizia sul Dna che ha permesso di individuare tracce genetiche riconducibili all’imputato Vito Mazzara (addirittura tra le tracce rinvenute sui resti di fucile trovato sul luogo del delitto, sono state individuate quelle di un parente prossimo all’imputato Mazzara, cosa questa che conferma quanto aveva detto il pentito Milazzo e che cioè Mazzara solitamente agiva assieme ad un suo zio, Mario Mazzara, ora defunto). Questo dopo le evidenze investigative, a proposito di perizia balistica, emerse da indagini della Squadra Mobile di Trapani, che seguirono ad indagini condotte negli anni precedenti, in particolare dai Carabinieri, che si è scoperto essere state segnate da incredibili errori e inadempienze, in certi casi sono apparsi come veri e propri depistaggi. Ci sono stati anche una serie di collaboratori di giustizia che avevano testimoniato sulle responsabilità degli imputati: l’ordine di uccidere Mauro Rostagno, è stato detto, giunse a Vincenzo Virga, capo mandamento di Trapani, dal defunto capo della cupola provinciale Francesco Messina Denaro; Rostagno era diventato una “camurria” per Cosa nostra. A Vito Mazzara dunque sarebbe giunto l’ordine di organizzare il commando ed uccidere il giornalista. Gli esami balistici ed il modus operandi sono risultati molto coincidenti con quelli relativi ad altri delitti di mafia, omicidi per i quali Mazzara sconta l‘ergastolo. La “firma della mafia” nell’omicidio di Mauro Rostagno è emersa dagli esami balistici e in ultimo anche dalla perizia del Dna (Carra, De Simone e Presciuttini). Risultati che la difesa degli imputati ha messo in dubbio e questo grazie ai responsi di due super consulenti, gli ex ufficiali dei Ris di Parma, Garofano e Capra. Dapprima la difesa ha anche indicato alla Corte altre ipotesi per il delitto, dalla pista delle “corna” a quelle relative a uno smercio di droga, dentro la Comunità Saman, fondata da Rostagno, ad un possibile contrasto con il guru suo fidato amico Cicci Cardella (morto improvvisamente nel corso del processo) sino a giungere alla pista che voleva Rostagno morto per avere scoperto un traffico di armi coperto da apparati militari. Tutte piste che la Corte di Assise ha sondato senza raccogliere molti elementi ma ulteriori interrogativi. La perizia del Dna è arrivata per ultima cosa, quando sembrava che il processo dovesse risolvere una fase di incertezza, il contorno delle responsabilità degli imputati e quindi della mafia trapanese sembra essersi fatto più concreto e netto.  Del caso tra l’altro si è interessato il Capo della Polizia , prefetto Pansa, che a poche ore dall’accaduto si è sentito con il questore di Trapani, Carmine Esposito.


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