Caterpillar. Un caffè come pesce d’aprile

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Il Giornale: “Fuori i tromboni”. Sotto il titolo eccoli “i tromboni”: Monti, Rodotà, Zagrebelksky e Grasso. Poi, “Renzi conferma l’asse con Berlusconi e vara l’abolizione del Senato”.  “Renzi fa ciò che vuole – dice il Fatto Quotidiano – e il Colle benedice”. Il Foglio vede una “naturale alleanza tra Renzi e il Cav contro gli Ayatollah della Carta. Le sberle ai sacerdoti della Costituzione, l’annuncio della riforma del Senato, l’assist di Napolitano e Berlusconi”.

Allegria!  Berlusconi e Napolitano si allineano con il Premier, che si è eletto da solo ma è il più bravo. All’unisono con la pancia della nazione, scomunicano la nostra idea di un Senato di Garanzia. Al coro manca ancora Grillo. Già in campagna elettorale si deve distinguere, ma, forse, lo recupereranno dopo le europee. In fondo ha qualche ragione per rivendicare il copyright anti casta.

In verità Matteo Renzi deve aver considerato l’intervista, concessa ieri l’altro da Piero Grasso a Repubblica, un assist straordinario. Dopo tutto, la maggioranza degli elettori non legge i giornali, al massimo li scorre distrattamente. E i titoli, rilanciati dal web e in tv, rappresentavano quella posizione del Presidente del Senato, la nostra posizione, al contrario della realtà: una difesa della Casta. Lo ha scritto (con la K) anche Zucconi, De Bortoli ha usato l’inglese, Ezio Mauro è andato da Lilli Gruber a spiegare che Zagrebelsky è suo amico “sed magis amica veritas”. Quale meravigliosa concordia nazionale! Corriere della Sera: “Così può cambiare il Senato”. E poi “Napolitano: superare il bicameralismo paritario”. Repubblica: “Cambiare per fermare i populismi”. La Stampa “Riforme o me ne vado”.

Spero che oggi un numero decente di senatori del Pd firmi e presenti, questa mattina, il Disegno di Legge Costituzionale che assegna alla sola Camera dei deputati il potere di dare la fiducia al governo e approvare le leggi di bilancio, ma che conserva il Senato, come istituto di garanzia, che esamini  leggi costituzionali, elettorali, trattati e provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona. Prevedendo l’elezione popolare diretta di 150 senatori, ma riducendo il numero dei parlamentari ancora più di quanto non chieda Renzi. Sembra una battaglia sulle virgole. E noi non grideremo (come tutti vorrebbero) alla deriva autoritaria.

Sappiamo (almeno io credo di saperlo) che le intenzioni di Renzi sono quelle di svegliare la bella addormentata, Italia, di mantenerle un posto in Europa, di sfruttare il sentimento anti Casta contro il populismo che attenta alla Ragione. Tuttavia le virgole sono importanti. Il Senato eletto, che immaginiamo, è un contrappeso necessario allo strapotere del Capo Coalizione che, arraffato il premio di maggioranza, governi incontrastato, alla Camera. Il Senato immaginato dalla bella e brava Boschi, invece, servirebbe ad accrescere il potere di quel Capo e Premier. Ponendo sotto il suo controllo, a Roma, un certo numero di sindaci e governatori dai poteri ridotti (per la spending review) e in tutto ricattabili dall’esecutivo. La differenza c’è, ma diciamola com’è.

Letta alla luce del dibattito nazionale, la piccola battaglia che mi ha visto protagonista, domenica all’Hotel delle Palme, dove si riuniva la Direzione Siciliana del Pd, ha un sapore di surreale. La riunione si è aperta con tre ore e 40 di ritardo (non le 9,30 ma le 13,10) perché i maggiorenti del Partito, con l’avallo di Faraone, membro della segreteria Renzi, che non si è presentato, avevano escluso dalla lista per le europee il senatore Lumia, stracarico di mandati parlamentari e trait d’union fra il Presidente della Regione Crocetta e settori dell’industria e del centro destra siciliano che lo hanno appoggiato.

Tuttavia in sala, la recita parlava di partito unito che lavorava con Crocetta per sostituire il Governo con un nuovo e più politico governo Crocetta. Unità e coltelli. Ho detto agli uni e agli altri che il tempo era scaduto, che dopo il lungo corpo a corpo, con reiterate dichiarazioni e accuse sui giornali, non c’erano vincitori ma solo macerie. Che la forza propulsiva della “rivoluzione” Crocetta si era esaurita. Che sarebbe stato meglio a parlare di crisi,  investire i siciliani di questa crisi, spiegare le difficoltà, provare a costruire, con loro, un’idea per il futuro dell’isola, piuttosto che fingere una ricomposizione inesistente.

“Killer venuto dall’est”, mi ha definito Crocetta, “romano” che non sa nulla della Sicilia, uno che predica (ancora!) la lotta di classe e non ha fatto, come lui, l’operaio in fabbrica. In realtà il “sulfureo” (l’ho usato come sinonimo di “fumino”) Presidente era furente con il gruppo dirigente del Pd siciliano. E loro con lui, come è emerso nel dibattito successivo.  Bene. Almeno si è capito.

Ma la cosa surreale è che Renzi, forte della sua vittoria (se vittoria sarà) sul destino del Senato, andrà – ne sono certo – a commissariare la Sicilia. Magari dopo averla usata come bacino di voti per il Nuovo Centro Destra, antagonista di governo a Berlusconi, (alleato?) solo per le riforme. Non lo sanno, i siciliani, ma sono tacchini pronti per in thanksgiving.

E farà bene, Renzi, perché la politica, in Sicilia e in Italia, non può ripetere i suoi riti all’infinito concludendo assai poco. Per lunghi mesi, dopo aver accettato la candidatura, ho difeso Crocetta, il suo assessore al bilancio Bianchi (che ora s’è dimesso) le sue denunce sulla mangiatoia della Formazione Professionale. Ma la corda si logora, si è logorata. E ho voluto dirglielo a viso aperto, perché vorrei che la Sicilia cambiasse schema da sé, che l’Italia si trasformasse con la partecipazione e non solo per merito di un politico che fiuta l’aria che tira e passa sopra tutto come un caterpillar.

Da corradinomineo.it


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