L’attico (ma anche un primo piano) fuggente…

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Doverosa premessa: vogliano perdonarmi gli studiosi della filosofia del diritto, i magistrati che applicano leggi e dottrina, i costituzionalisti che hanno il compito d’insegnarci il de rerum natura degli articoli della Costituzione. Ciò premesso passo (indegnamente) a opinare sul verdetto di primo grado nel procedimento “il popolo italiano tutto vs. Scajola-Anemone”. La “cosa” (casa) nasce dal fatto che l’attuale proprietario entrò in possesso di prestigiosissima italica unità immobiliare (data la vista su manufatto d’epoca romana altrimenti riconosciuto come l’anfiteatro più grande del mondo) a seguito di rogito notarile regolarmente stipulato. E, fin qui, ci siamo (ci siamo nel senso che solo un ministro italiano, mica d’altri paesi EU, può permetterselo). Gli è che dagli atti risulterebbe che quel ministro pagò di tasca sua (per giunta con mutuo) giusto una parte dell’immobile. La restante -più cospicua- (indispensabile per il passaggio di proprietà in capo al ministro) sarebbe stata versata da terzi. In tal senso il ministro dichiarò d’ignorare totalmente l’esistenza d’altri versamenti (da qui il “a sua insaputa” tradotto in tutte le lingue del mondo). Oggi ci pare di capire che il perché del chi provvide in tal senso s’è prescritto (l’accusa parlava di finanziamento illecito mascherato in questo modo). Stante ciò non è chi non veda che pertanto è (miseramente) crollata la materia del “dante causa” riconosciuto “in nome del popolo italiano tutto”. Ne consegue che il proprietario è innocente e, pertanto a ragione, scarica su ‘sto popolo ingrato la sua ingiusta patita sofferenza. Era ministro e perciò si dimise. Oggi, martire riconosciuto a tutti gli effetti di legge, il minimo che questo popolo per lui deve fare è reinserirlo in prima fila ed è proprio in tal senso che egli si offre al miglior offerente.

Tutto il resto è compito degli agenti immobiliari (cui quellolì avrà affidato oggi la vendita del suo immobile) nel riscattare (quel) la materia del contendere. Dati i tempi di profonda crisi, avendo lui pagato onestamente (cfr. sentenza) 600mila euro in tempi non di conclamata crisi, si suppone che, mal contanti, oggi  quell’immobile sarà messo sul mercato a non più di  circa 500mila euro. O sbaglio?


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