Il discorso del Re. Caffè del 17 dicembre

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Giorgio Napolitano torna a far titolo su tutti i giornali. Con gli auguri per il Natale. Il Presidente osserva come “la recessione morda” e ci sia “il rischio di tensioni e scosse sociali, proteste anche violente…in sterile contrapposizione alla politica e alle istituzioni”. La casa rischia di bruciare, perciò il governo resti al suo posto e non si abbandonino le larghe intese.  Napolitano si rivolge a Forza Italia, “Il partito che il 2 ottobre si è distaccato dalla maggioranza”, perché questa rottura “non comporti l’abbandono del disegno di riforme costituzionali”, e a Berlusconi, che non dovrebbe “evocare immaginari colpi di Stato e oscuri disegni cui non sarebbero state estranee le nostre più alte istituzioni di garanzia”.

Poi l’affondo, tutto dedicato al suo ex partito, ora guidato da Matteo Renzi: “Dare risposte ai problemi degli italiani piuttosto che inseguire l’aspettativa di nuove elezioni anticipate dall’esito più che dubbio”. E per non essere frainteso ecco l’avvertimento: “Non mancherò di rendere nota ogni mia valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dell’alto e gravoso incarico affidatomi”. Minaccia di dimettersi il Presidente, non l’aveva mai fatto in modo tanto esplicito. Se qualcuno facesse cadere il governo Letta-Alfano per andare al voto, quelle dimissioni lo costringerebbero a restare in Parlamento per eleggersi un nuovo Capo dello Stato, il solo con il potere di convocare i consigli elettorali.

Il Giornale, “Napolitano ricatta l’Italia: o Letta o morte”. Il Fatto Quotidiano, “Re Giorgio avverte Renzi: o come dico io o me ne vado”. Repubblica, “Napolitano: No al voto anticipato”. Corriere della Sera, “L’amaro sfogo del Presidente”. La Stampa, “Forconi, l’allarme di Napolitano”.

Come sanno i miei affezionati lettori, ritengo che la follia più grande, in quei giorni tormentati e difficili che seguirono le elezioni, fu proprio quella di offrire a Napolitano un secondo mandato. Follia, perché Napolitano aveva già riesumato (dal lontano 76) la formula delle larghe intese. Follia perché non si può mettere un paese sotto una campana di vetro, né inventarsi una santa alleanza tra partiti alternativi e acciaccati (il PDL aveva perso sei milioni di voti, il Pd  tre). Follia perché la Grosse Koalition funziona con un vincitore e un perdente cui concedere uno strapuntino. Follia, perché la retorica delle istituzioni, la legittimazione dell’avversario anche quando si chiami Berlusconi, la paura del conflitto sociale e il riunirsi a corte nel palazzo, questi residui della guerra fredda, oggi diventano piuttosto causa di sfiducia che rimedio.

Ho votato no, quando Bersani comunicò al Pd la soluzione scelta, dopo l’infausta candidatura di Marini, l’incomprensibile rifiuto di votare Rodotà e il proditorio tradimento di Prodi. E tuttavia avevo (e ho) rispetto per Giorgio Napolitano. Quelle cose (sbagliate) il Presidente le pensa. Le ha dette, con durezza in Parlamento: un discorso “mai udito”, non solo nella nostra repubblica parlamentare ma anche in quella presidenziale di Obama o in quella semi presidenziale degli epigoni di De Gaulle. Il colpo di stato, la trasformazione dell’Italia in paese che vive da mesi uno stato d’eccezione, della Repubblica in una quasi monarchia, si consumò nell’aula di Montecitorio. Con tutti (quasi tutti) in piedi ad applaudire.

È stato saggio, ieri, Renzi a lasciare in fretta il Quirinale. Ora sa che la sua strada è in salita. Se Alfano punterà i piedi e Grillo e Berlusconi alzeranno il prezzo, una volta caduto il governo, torneremo alla casella di partenza, alla ricerca di un nuovo Presidente. Il rischio grosso è che, rassicurati da Re Giorgio, Alfano e i 101, Formigoni e Casini, Quagliariello e Franceschini, ricomincino a menare il can per l’aia: Regalie, anziché riforme, continui rinvii, le mani del fisco nelle tasche dei deboli e degli onesti per pareggiare i conti dello Stato.

Il Fatto: “Altro che aiuti, tolgono la tredicesima ai precari” . “Per far cassa il ministero dell’economia ha stabilito che  le ferie non godute non saranno più pagate” Centomila insegnanti precari ringraziano. Si chiede Padellaro: “Ma Renzi non aveva detto che scuola e cultura non sono dei costi, sono degli investimenti?” E  conclude:  Camomilla frizzante!

Da corradinomineo.it


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