Un ministro sotto influenza. Il caffè del 18 novembre

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“Pd, pressing sulla Cancellieri”, scrive la Stampa. “Pd e giudici, cancellieri in bilico”, il Corriere della Sera. Per il Giornale “il caso Cancellieri” è un “agguato a Letta”, ovviamente del Pd.  “Cancellieri a fine corsa”, prevede il Fatto, infatti “il Pd la molla”. Mentre Repubblica personalizza lo scontro: “Renzi, Cancellieri si dimetta”.

Non so se Annamaria Cancellieri si dimetterà come le consiglia Renzi. Secondo me, dovrebbe. Il suo errore non è di aver segnalato agli uffici lo stato di salute di una detenuta, ma di aver mantenuto rapporti assidui con la famiglia di tre arrestati e un latitante. Erano miei amici da sempre, dice il ministro. È proprio questo il punto: non è opportuno che un ministro della Repubblica, e in particolare il ministro di grazia e giustizia, mantenga una così stretta familiarità, si lasci coinvolgere da un tale grumo d’interessi (il marito con Antonino Ligresti, il figlio con il patriarca, Salvatore), con un gruppo finanziario, industriale, editoriale così pesante sull’economia del paese.

Il secondo aspetto della vicenda Cancellieri riguarda il Pd. L’anomalia non consiste nell’intenzione che Civati ha annunciato di proporre al gruppo del Pd una mozione di sfiducia contro la Cancellieri, per far cadere l’alibi (e l’ipocrisia) di chi, pur criticando il ministro, era pronto a salvarlo per non confondere il proprio voto con quelli dell’opposizione.   L’anomalia è l’altra, quella che forse sta finendo e che, da aprile in poi,  ha impedito al Pd di far politica, di decidere nei luoghi deputati quale atteggiamento assumere, per non dispiacere a Palazzo Chigi, al Quirinale e non contraddire le larghe intese. Quando è scoppiato il caso Shalabayeva si è dovuta prendere per buona la lacunosa autodifesa di Alfano. Nessun dibattito. Quel tempo, dopo quattro mesi di quotidiani ricatti berlusconiani e la scissione del PDL, dovrebbe finalmente essere finito.

Chi ha vinto il primo round del congresso del Pd, Renzi o Cuperlo? Per ora, secondo me, ha perso il Pd.  Gli iscritti sono diminuiti, il tesseramento ha registrato inaccettabili irregolarità, in molti circoli si è votato più per “posizionarsi”, ed entrare a far parte della futura nomenclatura, che per determinare linea politica e slancio ideale con cui rilanciare il partito. Tristi le schermaglie di ieri, Renzi ha detto di aver vinto anche fra gli iscritti, facendo intendere che considerava ciò come la premessa per un cappotto, quando finalmente potranno votare anche i simpatizzanti. Gli amici di Cuperlo  (penso a Orfini) hanno insistito sul testa a testa per mettere le mani avanti: anche se Renzi vincesse nel voto “aperto” dovrebbe fare sempre i conti per noi del vecchio apparato.

Che tristezza.  Un congresso che si sarebbe dovuto tenere molto prima, già in primavera, dopo la sconfitta elettorale e il cambio di linea politica, quando i circoli erano pieni di persone arrabbiate, che chiedevano conto e hanno ricevuto come risposta silenzi e rifiuti. Un congresso con il “grande Pd”, come lo chiama Walter Tocci, quello più vitale e lontano dalle logiche dei notabili, deliberatamente messo in fuga dall’apparato. Eppure tanti ragazzi e tanti diversamente giovani, come me e come Tocci, hanno fatto la tessera per contare anche in questa fase congressuale, si sono spesi nei circoli, chiedendo democrazia, partecipazione, condivisione delle scelte. I voti per Civati valgono il triplo. Mostrano quanto immotivato sia il senso di superiorità che ministri, presidenti di commissioni,  capi gruppo mostrano “per chi risponde agli Sms” o “per chi discute con OccupyPd”. Fanno bene a noi stessi, ma anche a chi ha scelto Cuperlo e Renzi. Lo stesso elogio merita Gianni Pittella, che ha costretto tanti circoli a parlare dell’Europa, e con l’Europa delle scelte findamentali della politica.

Mi sento sollevato. Dopo aver letto i giornali, non mi sento in dovere di scrivere su Silvio Berlusconi. Ci sono altri italiani che non bisogna dimenticare. Come Paolo Dell’Oglio, che ieri ha compiuto 59 anni. Spero che sia vivo e stia rompendo le scatole al gruppo di tagliagole che lo trattiene in Siria, Con la sua forza e il coraggio. La forza che lo ha spinto, dopo anni passati a pregare e studiare da eremita in Siria, a dire no alla repressione selvaggia della primavera. A chiedere una soluzione pacifica di quella crisi. Fu espulso per questo e per ordine di Assad, nel 2011. Perché se era distinto da quei cristiani disposti, in Siria, a chiudere gli occhi sulle stragi del regime per paura della barbarie degli insorti. Il coraggio di Paolo Dell’Oglio, che è tornato in Siria nel 2013, testimone di pace nella più barbara delle guerre civili. Ed è ancora, da qualche parte. Chiediamo di sapere che ne sia stato, chiediamo che ci ridiano Paolo dell’Oglio o ci raccontino di lui. La verità.

Da corradinomineo.it


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