FORUM ARTICOLO21 – L’Anno Zero dei giornalisti e della libertà di stampa

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Colleghi “diversamente giovani”, come scrive Barbara Scaramucci, “reduci” di Fiesole, artefici di Articolo 21, più realisticamente “anziani” con l’esperienza del “giornalismo da marciapiede” stanno stimolando sul nostro sito un dibattito salutare e coraggioso. Il giornalismo come noi lo abbiamo conosciuto e praticato è finito? In massima parte sì!  Le nuove tecnologie lo hanno soppiantato in meglio, rendendo la libertà di informare e di essere informati più immediata e reale? Non proprio!

Negli anni Settanta/Ottanta l’editoria era in crisi e molti giovani arrivavano al giornalismo “garantito” dopo un lungo periodo di “gavetta”. Si licenziavano soprattutto i poligrafici e si trasformava il processo produttivo da “caldo” a “freddo”. Molti i precari anche allora, ma comunque con concrete possibilità di poter entrare in una testata, magari senza raccomandazioni o aiuti di partiti e salotti.
Oggi non è più così!
Migliaia di persone, giovani e “diversamente giovani” fanno i giornalisti, senza averne il “riconoscimento legale” dell’Ordine, e non hanno nessuna possibilità di “entrare nel giro” che conta, di lasciare il precariato, di sperare in una carriera, di ottenere quelle poche residue garanzie che ancora i nostri istituti ci forniscono.
A cosa servono allora il WEB, i telefonini, i tablet, la crossmedialità, “l’era digitale”?
A creare fabbriche di illusioni, di disoccupati, la massa critica da sfruttare e da usare da parte dei grandi gruppi editoriali come uno spettro, come “Zombie”, Walking Dead”, in modo da abbattere le ultime garanzie di chi è ancora occupato regolarmente e prosperare così in una deregulation, che sta arricchendo i nuovi protagonisti delle piattaforme informative, ma anche di riportare in futuro gli utili alle vecchie società editrici.
E’ più utile soffermarci sulla qualità dell’informazione che attraversa l’etere, si diffonde nei satelliti e si dirama in rete oppure sulla professionalità dei “nuovi giornalisti”, quei giovani “nativi digitali” che magari provengono dalle scuole, ma che dimostrano una scarsa autonomia ideativa, culturale e “politica”; oppure è meglio domandarci cosa si intenda per giornalismo e libertà d’informazione in un mercato globale, dove dominano 5 grandi gruppi “tradizionali” e 3 nuovi digitali?
Questa la sfida che abbiamo davanti!
Alla fine degli anni Ottanta, a Fiesole, ci interrogavamo su libertà di stampa, pluralismo, autonomia professionale, intreccio politica-editoria (eravamo agli albori del conflitto di interessi). Tra gli scenari evocati allora, vorrei ricordarne due: la fine del giornalismo così come era regolato per legge (ovvero l’abolizione dell’Ordine, ritenuto un baluardo corporativo, e il riconoscimento sic et sempliciter dello status di giornalista a tutti coloro che vivevano di giornalismo); le novità incredibili per noi e per il pubblico che potevano venire dalla connessione tra le Reti (telecomunicazioni, Tv satellitari e il Web non ancora del tutto sviluppato). Venticinque anni dopo, viviamo sofferenti e sgomenti le conseguenze di un’incapacità elaborativa e propositiva delle nostre organizzazioni sindacali e professionali, impegnate ad affrontare le contingenze spesso critiche e drammatiche del sistema mediatico italiano (riorganizzazioni aziendali, stati di crisi, disoccupazione,contratti di solidarietà, esodi forzati, cassa integrazione).
Nel frattempo si è ristretta la platea dell’informazione “tradizionale” e si è allargata a dismisura quella in Rete, per lo più “fabbricata” dai cosiddetti “citizen journalist” o meglio da una moltitudine di “giornalisti amatoriali”. Che scrivono con competenza, passione e approfondimenti, senza però ricevere alcun compenso, tranne qualche volta un rimborso spese (se dietro al sito Web c’è un gruppo editoriale). A che serve dunque un Ordine, se non li contempla e non sa precedere le novità del mercato né formare nuove professionalità?
E nel “nuovo mondo” dell’informazione globalizzata che troviamo ancora il giornalismo di una volta, che in molti in questo Forum giustamente rimpiangono. Un giornalismo degno di questo nome lo ritroviamo negli inviati di guerra della carta stampata e in alcuni loro colleghi della cronaca giudiziaria. E poi più niente!
Del giornalismo radiotelevisivo, pubblico e privato, meglio non parlarne, tranne qualche rara eccezione. Ma purtroppo nell’immaginario collettivo e per la diffusione, è proprio la decadenza di questa forma di giornalismo “via etere” che appare ai più come il vero impoverimento della nostra professione.
Un giornalismo dove “la casta” non vuole ancora adeguarsi all’uso dei nuovi mezzi tecnologici, con la trasformazione del giornalista in un tutt’uno con strumenti digitali per la ripresa, il montaggio e la diffusione. Un giornalismo dove la carriera si fa sulla base dell’ossequienza ai “capi” o con un cursus honorum sindacale o ancora con l’adesione a correnti politiche e salotti trasversali del potere.
Questo tipo di giornalismo vuoto, ripetitivo acriticamente di video-notizie già propagate dalla Rete, ma rassicuranti per chi le deve trasmettere, sta portando alla disaffezione del pubblico, che sempre più si rivolge al Web e ad un’informazione “spontanea” che spesso non è controllata né affidabile, ma che ha il “sapore” dell’immediatezza, dello scoop, del giornalismo “di strada”, in presa diretta. Che ognuno di noi potrebbe fare con un telefonino.
Ma spesso, i blogger, i siti “indipendenti”, i social network, come dimostrano le tante “bufale” raccontate durante la Primavera araba e non solo, mancano proprio del ruolo di verifica, d’incrocio delle fonti, insomma dell’attendibilità di chi fa questo mestiere da tempo.
Se il Web si nutre di notizie in tempo reale, rendendo “storiche” quelle che vengono pubblicate sulla carta stampata e comunque “datate” quelle che vengono trasmesse via radio e tv, allora ci si deve attrezzare in modo tale che i giornalisti, liberi dagli orpelli corporativi e resi più autonomi dai potenti di turno, sappiano usare tutte le tecnologie senza figure intermedie (tranne quelle indispensabili, soprattutto nei documentari, dei producer e dei direttori-operatori alla macchina). E sappiano “scavare”, abbiano voglia di consumare le suole delle scarpe e siano posseduti dal “sacro fuoco” della curiosità. Tutto il resto è…”sovrastruttura”, come si diceva nel Sessantotto.
Anche se il resto ha purtroppo il nome e le sembianze opprimenti dei tanti conflitti di interessi, della concentrazione del potere mediatico globale in 8/10 gruppi, delle assenze di regole sulla Rete sempre più anarchica, ma anche del controllo asfissiante e illegale dei “grandi fratelli” come la NSA americana e le altre centrali spionistiche del sistema dei “Cinque occhi”.
Parliamone ancora e presto. Magari proprio a Fiesole…


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