Cristiani perseguitati sulla via di Damasco

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I jihadisti di Al Qaeda combattono non solo contro al-Assad, ma contro tutte le minoranze presenti in Siria: principalmente alawiti, curdi e cristiani. Questi ultimi sono considerati dagli islamisti dei «crociati» alleati di al-Assad (ma la Siria è considerata uno dei primi centri del cristianesimo; Antiochia di Siria fu la città dove i seguaci di Gesù assunsero il nome «cristiani») e stranamente non vengono difesi dai governi occidentali, che hanno come obiettivo principale la caduta del regime siriano.

di Mostafa El Ayoubi

Uno degli aspetti più peculiari della guerra contro la Siria è la preponderanza dei gruppi armati islamici. I jihadisti di Al Qaeda, in particolare Jabhat Al-Nusra, sono riusciti ad infiltrarsi in maniera capillare in tutto il paese. Con la loro convinzione di martirizzarsi «in nome di Allah», sono molto determinati a far fronte all’esercito governativo; più di quello che è riuscito a fare il suo rivale, l’Esercito libero siriano, costituitosi in Turchia per marciare su Damasco. I jihadisti hanno trasformato diverse zone da loro conquistate in emirati islamici e assoggettati alla sharia, dove hanno stabilito tribunali islamici per perseguitare tutti coloro che si differenziano dalla loro dottrina islamista takfirista. E in Siria la maggioranza dei cittadini non si riconoscono nella dottrina religiosa dei jihadisti sunniti.

Gli alawiti (sciiti) costituiscono il 10-13% della popolazione, sono tra le minoranze i più perseguitati: «Gli alawiti nelle bare» era lo slogan lanciato dai gruppi armati qaedisti sin dai primi tempi della «rivolta» in Siria. Considerati degli eretici, le loro moschee sono state bruciate, i loro villaggi distrutti. La loro «colpa» è il fatto di essere della stessa minoranza alla quale appartiene il nemico al-Assad. La violenza di cui sono state vittime finora gli alawiti da parte dei jihadisti è stata ignorata dagli organismi governativi internazionali e dai media mainstream. E lo stesso vale per i curdi siriani nel nord del paese.

L’altra minoranza che patisce l’inferno nell’indifferenza quasi totale da parte della «comunità internazionale» è quella cristiana. I cristiani di diverse denominazioni costituiscono circa il 10% della popolazione siriana. I jihadisti li considerano dei «crociati» e nel migliore dei casi li costringono a convertirsi o ad abbandonare le loro case. Oltre ad essere cristiani, la loro «colpa» è il fatto di essere considerati dei lealisti ad al-Assad. Diversi laici e anche sacerdoti cristiani sono stati decapitati pubblicamente al grido di «Allah’o akbar » e i filmati di questi macabri riti sono stati posti su Youtube come monito ai cristiani siriani e non solo. Vi sono anche religiosi tutt’oggi sotto sequestro dei jihadisti (e anche delle bande criminali che costituiscono l’altra faccia della medaglia). Una delle ultime rappresaglie contro la minoranza cristiana è avvenuta nella cittadina di Ma’lula, uno dei più antichi luoghi cristiani del mondo, dove si parla ancora l’aramaico. La Siria in effetti è considerata uno dei primi centri del cristianesimo; Antiochia di Siria fu la città dove i seguaci di Gesù assunsero il nome «cristiani». Di quali «crociati» parlano quindi i jihadisti?

Il «no» della maggioranza dei cristiani siriani alla guerra contro il loro paese li ha esposti ad un isolamento sistematico da parte della comunità internazionale. «Stranamente » la strategia delle cancellerie occidentali «cristiane» coincide con quella dei jihadisti di Al Qaeda. Washington, Londra, Parigi, Roma e altre capitali occidentali hanno fatto orecchie da mercante di fronte alle grida d’allarme che giungono da tempo dai cristiani della Siria e del Medio Oriente sul pericolo della distruzione del paese. Il motivo di questo atteggiamento è il fatto che l’Occidente vuole la testa di al-Assad a costo di sacrificare i cristiani, come è successo in Iraq. Di fronte a questa situazione, fa molto riflettere la posizione del Vaticano, che fino a qualche mese fa è stato silente nonostante fosse al corrente di quello che stava accadendo realmente in Siria. Quanto hanno influito i governi occidentali anti al-Assad sul Vaticano, non ci è dato saperlo.

Nel dicembre 2011 Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, avallò un rapporto intitolato «I crimini siriani contro l’umanità». Monsignor Tomasi dichiarò alla Radio Vaticana (3 dicembre) che la comunità internazionale aveva il dovere di porre delle sanzioni e la responsabilità di proteggere i siriani (in linea con il dogma «responsibility to protect»). Tuttavia, le dichiarazioni del prelato erano basate su un rapporto su cui sorgevano molti dubbi. La co-relatrice del rapporto, Karen Koning Abuzayd, era la responsabile della Middle East Policy Council, un gruppo think tank composto da rappresentanti dell’establishment americano e di diverse compagnie petrolifere, come Exxon, e di fabbricanti d’armi, come Raytheon.

Inoltre, pone degli interrogativi la decisione del Vaticano di annullare, nell’autunno 2012, una visita di una sua delegazione a Damasco e sostituirla con una visita nei campi profughi siriani nel Libano, dove già molti rappresentanti dei governi occidentali si sono recati per «confortare» i siriani fuggiti dalla guerra. Il cambio di programma, secondo la versione ufficiale, era dovuto a «motivi di sicurezza». È da notare il fatto che, nonostante la grave crisi in Siria, svariate delegazioni governative e non governative continuano tutt’oggi a recarsi a Damasco per discutere della situazione.

Per due anni e mezzo di guerra devastante contro la Siria – la culla della cristianità – la Santa Sede aveva scelto la politica del silenzio. E ciò nonostante le sciagurate proposte di Sarkozy di incoraggiare i cristiani siriani a immigrare verso l’Europa e quella di altre autorità europee di facilitare l’ingresso ai cristiani siriani in Europa. Si tratta di proposte sciagurate perché rischiano di: sradicare i cristiani dalla loro terra, privare il paese di una sua componente fondamentale e mettere zizzania tra musulmani e cristiani, cittadini dello stesso paese.

Ma il silenzio è stato finalmente interrotto da papa Francesco: oltre ad indire una giornata di digiuno a favore della pace in Siria, il pontefice ha apertamente criticato l’uso della violenza, domandandosi se le guerre servano per smerciare illegalmente armi. Occorre ricordare che sin dall’inizio della guerra contro la Siria le frontiere libanesi, turche, irachene e giordane sono state luogo di passaggio di ingenti quantità di armi insieme a decine di migliaia di combattenti provenienti da più di 80 paesi (tra cui l’Italia).

La presa di posizione del papa, oltre a dare speranza ai cristiani della Siria, ha consentito ad altri uomini della Chiesa cattolica di reagire. In una recente intervista rilasciata a Réseau Voltaire, il superiore generale della compagnia dei gesuiti padre Adolfo Nicolas si è domandato chi abbia dato l’autorizzazione agli Usa o ad altri di agire contro la Siria. Il gesuita considera una eventuale azione punitiva contro la Siria un abuso di potere da parte degli americani.

Le crescenti prese di posizione anche da parte dell’opinione pubblica occidentale contro un’aggressione militare alla Siria è un segnale incoraggiante. Tuttavia ha bisogno di un sostegno maggiore da parte della più grande Chiesa del mondo, che nella crisi siriana dovrebbe proporsi come mediatrice diplomatica per favorire una soluzione politica che garantisca la pace tra i siriani e l’unità e la sovranità della Siria.

da confronti.net


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