Le lunghe ferie dell’Agcom

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Nella puntata precedente («Agcom, la bella addormentata» sul manifesto del 14 agosto) si diceva che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni pare assistere silente e distratta alla interminabile soap televisiva sul processo a Silvio Berlusconi. In diversi casi un processo al processo. Eccoci nel pieno della non osservanza delle stesse regole sancite in un apposito regolamento dalla medesima Agcom. Per non dire del contraddittorio, della tutela dei differenti punti di vista…
Ora siamo già alla puntata successiva, vista l’anticipazione fatta dal signore di Arcore di voler annunciare in televisione le sue scelte future. Tradotto: l’inizio della campagna elettorale, già avviatasi prepotentemente sul piano mediatico, pur con la solita sottovalutazione del centrosinistra -dedito il Pd a tenere in piedi con il filo di ferro il governo delle «larghe intese»- abbagliato dai media ma incapace di coglierne il barometro.
La turbolenza in corso forse potrebbe, dovrebbe, invitare chi ne ha potere e competenza a pronunciare qualche parola impegnativa. Siamo di fronte non già alle affermazioni di un leader politico, bensì alle esternazioni di una persona condannata in via definitiva per reati fiscali. Con le pene connesse. Ha la facoltà un più semplice e ignoto reo acclarato di utilizzare i media anche solo per salutare i congiunti? Ma dove sta degradando la democrazia italiana? Ottima l’idea di manifestare per la difesa della Costituzione proposta da Landini, Rodotà e Zagrebelsky. E si metta nella piattaforma -come suggerito da Articolo 21- anche il rispetto della correttezza dell’informazione, l’urgente riforma della Rai prima che scada la concessione dello stato, il conflitto di interessi. Anzi. Quest’ultimo argomento, colpevolmente tralasciato per anni e ora drammaticamente evidente nei mostri che ha costruito, sarebbe a ben vedere uno dei punti della riforma elettorale, risolvendo la questione definitivamente nei criteri di candidabilità e incandidabilità.
Mentre l’Agcom sembra poco coinvolta su capitoli cruciali che toccano il tessuto nervoso del corpo civile, grande attivismo sembrerebbe appalesarsi sull’esposto del capogruppo del Pdl alla Camera, Renato Brunetta. L’invettiva ha come bersaglio polemico la testata per l’informazione regionale della Rai, tgr. Se non fosse vero il documento del capofila della destra berlusconiana in seno alla commissione parlamentare di vigilanza (così) sembrerebbe una scena tratta da una commedia goldoniana: Brunetta a rincorrere il direttore Casarin in giro per le calli per l’informazione squilibrata a favore della sinistra (?!) in una testata che ha il primato nell’azienda per lo scupoloso monocolore del vertice. Fu un’occupazione in piena regola, di cui c’è traccia in antiche polemiche. Quindi, Brunetta se la veda innanzitutto in casa sua. Ma tant’è. Pare che l’Agcom abbia dato mandato ai comitati regionali, che ne rappresentano le funzioni sul territorio, di approfondire e indagare. Chissà dove stavano, però, quando andavano in onda le quattro inaugurazioni di piazza Cavour a Roma da parte dell’allora sindaco Alemanno. O altre brutture, peraltro documentabili.
Allora c’è un’intermittenza «politica» di sonno e risveglio? Se Berlusconi invade l’immaginario degli italiani è giusto e moderno e se c’è qualche voce fuori dal coro è scorretto? In verità, l’effetto collaterale dell’irrisolto conflitto di interessi sta proprio qui: la televisione è in eterna luna di miele con il vecchio proprietario di Mediaset, che è una sorta di «fuori quota». Ovviamente, se l’Agcom e i Comitati regionali vogliono fare sul serio ben vengano. Si prenda un significativo periodo di riferimento e si vagli il tutto. Non ci si lamenti, poi, delle sorprese. La par condicio è un criterio generale, non una mazza da baseball da usare quando serve. Suvvia.

da “Il Manifesto”


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