Beni Culturali, bisogna cambiare rotta

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Il caso del Colosseo – totem della romanità e del turismo planetario (i suoi incassi formano circa un terzo degli introiti di tutti i musei statali) – precluso ai turisti per le “assemblee” sindacali dei custodi ha riportato in primo piano lo stato comatoso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali salassato e snervato da Tremonti con l’assenso dei ministri Bondi e Galan e col “tecnico” Ornaghi che non ha certo fatto di meglio. I custodi, ridotti di numero e non pagati secondo gli accordi sindacali, hanno colpito il totem (oltre che la gallinona dalle uova d’oro) del Colosseo facendo infuriare i turisti in coda sotto il sole e rilanciando nel mondo l’idea (fondata) che il Bel Paese non sappia tenersi caro il colossale patrimonio ereditato dai propri avi. I sindacati programmano una giornata generale di protesta sui Beni Culturali per venerdì 28. Sacrosanta.

Il ministro attuale, Massimo Bray, dopo alcune ispezioni personali (appiedate e su due ruote) a Pompei e a Caserta comincia a ricevere delegazioni e associazioni e a rilasciare interviste di buona volontà. Nelle quali assicura che cercherà di recuperare un po’ dei troppi fondi sottratti da macellai incompetenti e di avviare i lavori finanziati (vedi Pompei) coi fondi UE. Oltre ad istituire una nuova commissione di tecnici (di giuristi? dio ne scampi) per ristrutturare il MiBAC. Dove non si sa più chi comandi, specie dopo lo sciagurato Titolo V della Costituzione che ha messo sullo stesso piano lo Stato e il Comune di Roccacannuccia. Ma come sta il Ministero? Di recente lo si è presentato come un “corpaccione”. Francamente il povero MiBAC – ora unito al Turismo dopo avergli accorpato, discutibilmente, lo Spettacolo – esibisce semmai un gran testone e un corpo con articolazioni sempre più gracili.

Il testone è formato da 23-24 direttori generali, fra centrali e regionali, con stipendi cospicui (166.688 euro lordi l’anno). Tutti alti specialisti? Fate voi: alla direzione generale perla Valorizzazionecreata per Mario Resca, ex McDonald’s e Casinò di Campione, che, uscito lui, si poteva benissimo abolire, è stata messa una laureata in pedagogia; alla direzione perla Valutazionedelle performances (OIV) c’è una dirigente esterna proveniente dalla Sanità. Poi ci sono 162 dirigenti di seconda fascia, fra cui i soprintendenti territoriali, che guadagnano meno della metà, cioè 78.900 euro lordi, e i funzionari di terza area, dove ricadono i direttori dei più grandi musei, che si fermano addirittura a 35.000 euro l’anno, cioè a 1.700-1900 euro netti al mese, con responsabilità da far tremare. Quei direttori che una recente circolare ministeriale Ornaghi prevede di ruotare ogni tre anni per evitare loro di diventare “corruttibili”. Offensivo e demenziale.

Poi viene la fascia dei tecnici: archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, storici dell’arte, collaboratori scientifici, ecc. Anche questi con stipendi indecorosi. Anche questi in numero costantemente decrescente. Per cui, ad esempio, gli architetti delle Soprintendenze territoriali dovrebbero, come minimo, affrontare il disbrigo di 5-6 pratiche edilizie/urbanistiche ciascuno per giorno lavorativo, col record milanese di 78,9 pratiche al giorno. Con ingorghi pazzeschi, ovviamente, e buchi vistosi nella tutela.

Ministero e Regioni, in base al Codice Urbani/Rutelli, dovrebbero co-pianificare e in tal modo difendere il paesaggio, ridurre drasticamente il consumo (pazzesco) di suolo e altro. Ma molte Regioni riluttano, come già fecero con la legge Galasso. Ed il fresco (o frescone?) Ddl governativo sul consumo di suolo prevede che questa materia venga sottratta al MiBAC e trasferita alle Politiche Agricole, anzi ad un Comitato agro-alimentare. “La Valled’Itria insieme alle orecchiette”, ha commentato l’urbanista Vezio De Lucia.

Gli archeologi in organico sono 343 per oltre 700 siti archeologici e monumenti dello Stato, spesso di dimensioni imponenti, e magari in località decentrate. Più altri 1300 siti su cui vigilare. Non va meglio con gli storici dell’arte scesi a 453 per altrettanti Musei dello Stato, più altri tremila circa su cui vigilare, centomila fra chiese e cappelle (nel Sud veri e propri musei), 734 musei ecclesiastici, ecc. Con fondi drenati spesso dalla “mostromania” dei Poli museali e con opere che vanno e vengono per il mondo. Magari per farsi pagare il restauro. Come uno dei Raffaello (la Mutadi Urbino) spediti a Tokio. Una sorta di “accattonaggio di Stato”. Analogo a quello ipotizzato nel decreto sulla Semplificazione che consente di “affittare”, dietro compenso, all’estero reperti, quadri, oggetti oggi nei depositi. I quali, o valgono poco (e incassi meno), oppure ti guardi bene dall’esportarli. Del resto, secondo i dati del MiBAC, dal 2001 al 2011, i fondi disponibili sono precipitati dallo 0,39 % allo 0,20 % del bilancio dello Stato. Dimezzati. Fondi che arrivano agli organismi di tutela soltanto in ottobre, e volete che non si formino residui passivi?

Gli amministrativi del MiBAC risultano 4.407; custodi e ausiliari meno di 9.000. Tutti in costante calo, ovviamente. Funzionari e dipendenti dei 100 archivi di Stato sono per di più investiti da una “riforma” che sta suscitando proteste a non finire. Gli archivi nazionali si ridurrebbero infatti a 9 in tutto sopprimendo sedi come Genova che un bel po’ di storia ce l’ha alle spalle e che registra oltre seimila utenti all’anno. Follie burocratiche. Come l’accorpamento di tanti archivi locali (per esempio Fano, enclave malatestiana, accorpata a Pesaro, due storie diversissime, con maggiori anziché minori spese). Né stanno meglio le biblioteche, tanto ricche di materiali unici al mondo quanto povere di risorse. Al punto di doversi affidare ai volontari per non chiudere. La prima cosa che dovrebbe fare il nuovo ministro? Probabilmente raspare un po’ di fondi per indire al più presto concorsi rigorosi. Prima che al MiBAC mettano il cartello “chiuso per vecchiaia”. Tombaroli, mercanti, ladri d’arte, speculatori, saccheggiatori del paesaggio, fate pure.

da “l’Unità”


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