Quando il “gatto” PD non c’è il “topo” Amato balla!

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Le vignette sul finire della prima repubblica lo ritraevano così, come un topo. Oppure, prima che Craxi fosse deposto, al suo fianco come consulente economico. Era l’epoca in cui, nel Partito Socialista, c’erano persone come lui, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi, Fabrizio Cicchitto. Quindi, prima domanda, siamo davvero convinti, come ci dicono in questi giorni, che stiamo per entrare nella terza Repubblica o forse siamo ancora inesorabilmente confinati alla prima? Tra poche ore, ma spero di sbagliarmi, il “topolino” Giuliano Amato riceverà l’incarico per formare il nuovo Governo. O almeno, mentre stiamo scrivendo – e sono le 22,30 di sera del 23 aprile – l’80% dei cronisti parlamentari ha questa convinzione.

L’idenikit, da qualche tempo a questa parte, è sempre lo stesso. E’ buon amico del Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano era migliorista, un comunista quasi socialista) e Amato era socialista. Gode del rispetto internazionale ed europeo. Parla un ottimo inglese. Ha fatto le scuole “alte”. Ci capisce di economia. E poi devi essere uno che deve avere qualche rapporto con Bilderberg, la Trilateral o l’Aspen Institute per avere un credito con il gotha del mondo della finanza. Lui all’Aspen è conosciuto quindi il pedigree è gradito.

Per spiegare il titolo, dopo che abbiamo definito chi è il topo, dobbiamo raccontare perchè il gatto non c’è. O almeno… non c’è più. Il gatto è il Pd. Ed è un gatto che, per ironia della sorte, è molto simile al famoso giaguaro di bersaniana memoria. Quello però, per capirci, ancora da smacchiare. Un gatto che ha tante macchie quante posizioni interne. Un gatto che non c’è di fatto più in termini di solidarietà e solidità politica. L’unica cosa che la direzione qualche ora fa ha potuto (badate bene dico potuto e non voluto) fare, è affidarsi al Presidente della Repubblica. L’unico “uomo” o l’ultima Istituzione capace di spingere il partito ad una possibile unità. Il documento votato dalla direzione (7 contrari e 14 astenuti, tutti gli altri favorevoli) con cui Enrico Letta, Roberto Speranza e Luigi Zanda sono andati da Giorgio Napolitano è come se dicesse: “ci affidiamo alla scelta che vorrai fare tu”. Piegato dalle risse interne, da un congresso che ormai si terrà nell’arco di poche settimane, il Partito Democratico nonostante tra Camera e Senato possa contare su 450 parlamentari, è costretto a rinunciare al suo ruolo di forza politica dominante e ha perso ogni tipo di autorevolezza che con quei numeri sembrava poter essere scontata.

Non si può aggiungere altro, per ora, in attesa che Napolitano decida.

 


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