Cosentino, la giustizia e l’informazione

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Poco più di un anno fa, quando il libro “Il Casalese” fu dato alle stampe, ebbi il piacere e l’onere di chiudere col mio capitolo la biografia non autorizzata di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario e parlamentare PdL che, mentre scrivo, affronta la prima notte di carcere col peso di due ordinanze di custodia cautelare fermate per mesi soltanto dall’immunità parlamentare – che da ieri non c’è più – e da un voto della Camera dei Deputati. Scrissi che l’unico processo concluso nei confronti di Nick ‘o mericano in questi anni è stata una messinscena. Nel vero senso della parola. Una recita, allestita nel settembre 2011 a Sant’Agata dei Goti, ridente paese della sannita Valle Caudina. Lì fu organizzato una sorta di processo teatrale durante un “festival della politica”: da una parte Cosentino, dall’altra una serie di giornalisti che dovevano “ascoltarlo”, “interrogarlo” e alla fine decidere se condannarlo o meno. I magnanimi cronisti, buon per loro, assolsero l’ex deputato di Casal di Principe.

Cosentino si è sempre lamentato del fatto delle lungaggini della giustizia. Un danno, sosteneva, per lui, politico di punta costretto a vivere sotto il giogo delle inchieste, delle gravissime accuse di concorso esterno in associazione mafiosa col clan dei Casalesi e poi di corruzione e reimpiego illecito di capitali, aggravati dall’aver agito per agevolare sempre il clan di Terra di Lavoro. ‘O mericano è sempre lamentato ma quando c’è stato da difendersi da queste accuse l’ha fatto da parlamentare, usando tutti gli scudi che il suo status forniva. Avrebbe voluto farlo anche a questo giro, non è un segreto: egli ha lottato con le unghie e con i denti per cercare di infilarsi in lista. Ma una serie di circostanze politiche stavolta hanno giocato a suo sfavore.
Nessuno dovrebbe godere delle disgrazie altrui, perfino quando si tratta di misure cautelari previste dalla legge che non può e non deve permettersi più, in Italia, di tralasciare i potenti ed essere “più uguale” per gli altri. Nemmeno gli autori de “Il Casalese” o l’editore di Cento Autori, citato in giudizio in sede civile per diffamazione dal fratello di Cosentino con una richiesta di 1,2 milioni d’euro, fanno festa davanti alla notizia della reclusione dell’ex numero uno del centrodestra in Campania. Però su quella biografia non autorizzata che tanto è costata in termini di querele, richieste di risarcimento danno, in avvocati e tensioni, una riflessione occorre farla. Decine di incontri, presentazioni e dibattiti in tutt’Italia; interviste, editoriali, confronti con altri giornalisti, con politici, con docenti universitari: “Il Casalese” è servito ad alzare il livello d’attenzione sui cosiddetti «impresentabili» in Parlamento. Nessuno, sia chiaro, si attribuisce i meriti delle inchieste giudiziarie, né tanto meno altri meriti (ma ce ne sono?) di tipo politico. Tuttavia il nome di Nicola Cosentino, la storia politica sua e quella dei suoi fedelissimi sono usciti dai confini campani anche grazie al lavoro di nove cronisti e alla volontà di una piccola casa editrice che continua a macinare libri d’inchiesta, convinta del fatto che quando vale la pena i progetti si portano avanti fino in fondo, costi quello che costi.


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