Massimo Castri regista e drammaturgo di costante impegno politico

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E’ stato tra i massimi protagonisti della scena italiana del novecento, Massimo Castri,  morto stamani all’età di 69 anni  nella sua casa di Firenze, dopo lunga ed inesorabile malattia. Passaggio di testimone quanto mai empio e crudele quello delle settimane al confine tra il 2012 e il 2013 che già hanno segnato la prematura scomparsa di Mariangela Melato ed Emidio Greco, entrambi ‘protagonisti dello spettacolo’ senza alcuna voglia di protagonismo, viceversa impegnati (proprio come Castri) in una ‘prassi’ professionale ineccepibile, scabra e di alta sensibilità politica rispetto alla specificità del proprio ruolo. Sempre alieno ai lustrini della mondanità e del fatuo presenzialismo

Nato a Cortona nella primavera del  1943, Castri esordì   attore nel 1965, collaborando con importanti registi e impegnandosi anche nel cinema. Alla regia, invece, approdò  dopo esperienze di teatro politico, in cui si cimento’ (anche) con qualità di  drammaturgo interessato a una “scrittura d’impianto saggistico e meta teatrale”. Attivo   al Teatro La Loggetta di Brescia, Castri  aveva poi collaborato   con Emilia Romagna Teatro, Biennale di Venezia, lo Stabile dell’Umbria. Dal  1994  era stato direttore del Teatro Metastasio di Prato. Per poi, dal 2000 al 2002, passare alla direzione del Teatro Stabile di Torino (interrotta in modo  burrascoso). Nel 2004 nuovo  incarico di notevole prestigio: la conduzione della  Biennale del Teatro di Venezia.

Massimo Castri si è affermato dirigendo con lucida capacità analitica alcuni testi di Luigi Pirandello (Vestire gli ignudi, 1976; La vita che ti diedi, 1978; Il piacere dell’onestà, 1984) e di Henrik Ibsen (Hedda Gabler, 1980; Il piccolo Eyolf, 1985); proseguì con «Caterina di Heilbronn» di Heinrich von Kleist (1993), «Amoretto» di Arthur Schnitzler (1991), «I rusteghi» (1993), «Le smanie per la villeggiatura» (1995) e «Il ritorno dalla villeggiatura» di Carlo Goldoni (1996), una rilettura in chiave esistenzialista del teatro borghese. Fra le regie più recenti di Castri figurano «Elettra» di Euripide (1993), «Ifigenia in Tauride» (1994), «Orgia» di Pier Paolo Pasolini (1998) e «Madame de Sade» di Yukio Mishima (2001), «Spettri» di Ibsen e «Il padre» di August Strindberg (2005), «Così è se vi pare» di Pirandello (2007; premio Gassman 2008). L’ultima regia è stata nell’autunno del 2011 al Metastasio di Prato, quando Castri, con la collaborazione di Marco Plini, ha portato in scena «La cantatrice calva» di Eugenio Ionesco, capolavoro del teatro dell’assurdo.

Pochi però ricordano che il suo battesimo di scena era avvenuto come attore, nel 1967,  al Piccolo Teatro di Milano nella messinscena di «Unterdenlinden» di Roberto Roversi diretta da Raffaele Majello. Nel 1968/1970 entrò a far parte della Comunità Teatrale dell’Emilia-Romagna dove lavorò in spettacoli con la regia di Giancarlo Cobelli (del quale in seguito fu regista assistente) e Roberto Guicciardini. In quel periodo partecipò ai film «I cannibali» di Liliana Cavani e «Sotto il segno dello scorpione» dei fratelli Taviani. Nel 1971 Castri consegui’ la laurea in lettere all’Università di Genova con una tesi sul teatro politico, che venne poi pubblicata da Einaudi nel 1973. La sua prima regia («I costruttori d’imperi» di Boris Vian) risale al novembre 1972 nel Teatro Santa Chiara di Brescia.


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