Contro la corruzione già 50 anni fa Leonardo Sciascia…

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Dunque, sembra sia una grande conquista l’aver sancito che non sarà candidabile ed eleggibile a qualsivoglia carica istituzionale chi sia stato condannato definitivamente per reati gravi come quelli di mafia e quelli contro la pubblica amministrazione (concussione e corruzione); e già questo la dice lunga. Dovrebbe essere elementare, “normale”; ma è pur vero che viviamo in un paese dove l’essere “normale” diventa qualcosa di eccezionale.
Al di là delle normative di cui ci si dota, lo strumento principe per combattere i fenomeni corruttivi è costituito da una parte dalla trasparenza, dall’altra dalla possibilità di conoscere.

Qui soccorre una pagina di un famoso romanzo di Leonardo Sciascia, Il Giorno della civetta. Una pagina che si vorrebbe fosse scolpita nei marmi dei “palazzi” del Potere”. La pagina dove il capitano Bellodi riflette amaramente su come incastrare il mafioso Mariano Arena che sente sfuggirgli di mano. Una pagina che riflette evidentemente il pensiero dello stesso Sciascia, e si badi che quel romanzo ha più di cinquant’anni; ma per tanto tempo quella preziosa indicazione è stata ignorata:
   “…Qui bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America… Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nella contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquieti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare attorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certi funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso…”.

Il giusto senso… Si prendano i casi recenti: Roberto Formigoni in Lombardia, Franco Fiorito in Lazio, il senatore Luigi Lusi, per citarne alcuni: il loro tenore di vita non era davvero all’insegna della sobrietà; era sufficiente “confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi e tirarne il giusto senso”.
La questione riguarda i parlamentari, ma più in generale tutti coloro che assumono incarichi nella pubblica amministrazione. A voler dare un nome a questo “giusto senso” si chiama Anagrafe Pubblica degli eletti: che significa pubblicità delle decisioni che vengono adottate, in modo che il cittadino possa valutare e soppesare il come e il perché di un voto, di un provvedimento, di una delibera; e poter ascoltare le ragioni pro o contro quel provvedimento, quella delibera. E significa anche mettere a disposizione dichiarazioni dei redditi e proprietà, personali e della famiglia: in modo da poter meglio confrontare, se vi sono, i segni di ricchezza agli stipendi, e poterne “tirare il giusto senso…”. E’ semplice, perfino facile. Per questo non decolla?


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