Ricordando Hiroshima

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Il 6 agosto 1945 ricorre l’anniversario del bombardamento nucleare della città giapponese di Hiroshima, seguito il 9 agosto da quello su Nagasaki. La corsa agli armamenti nucleari durante la guerra fredda portò ad un arsenale mondiale tra le 70.000 e le 80.000 armi nucleari.Il Trattato di Non Proliferazione e, soprattutto, la fine della guerra fredda hanno condotto ad una riduzione significativa di tali armi, stimate dal SIPRI intorno alle 19.000 unità, tra quelle dispiegate e quelle in riserva.

Va segnalato, però, che tali armi sono infinitamente più potenti di quelle del 1945 e, attraverso i moderni sistemi missilistici di lancio (balistici intercontinentali, subacquei, cruise, ecc.), più precisi e micidiali. Si parlò allora di olocausto nucleare e l’arsenale attuale (in grado di distruggere la vita sulla Terra non una, ma decine di volte) rappresenta una minaccia largamente superiore a quella dell’agosto 1945.

Se di solito si evidenziano la minaccia iraniana o quella nordcoreana, non si può non notare che un ristretto club di paesi continua a detenere rilevanti arsenali nucleari e a fondarvi la propria politica di sicurezza. La strategia di Sicurezza europea “Providing security in a changing world” del 2008 e il Concetto Strategico della NATO del 2010 evidenziano il pericolo della proliferazione nucleare, ma sembrano operare non verso una sua riduzione, bensì verso un suo rafforzamento (ad esempio, con la recente decisione del vertice di Chicago del maggio scorso di attivare uno scudo antimissile NATO proprio ai confini della Russia).

Anche se l’art. 11 della Costituzione italiana enuncia il ripudio della guerra, sul suolo nazionale (Torre Ghedi ed Aviano) sono depositate diverse decine di bombe nucleari tattiche statunitensi B61, con potenza variabile da 0,3 a 170 kt e lanciabili da aerei costruiti appositamente o compatibili (F16 o Tornado), con un raggio d’azione ridotto rispetto ai missili intercontinentali (in questo caso si parla infatti di armi strategiche). A causa dell’assenza di dati ufficiali della Nato, se ne stimano ancora 150-200 dislocate in cinque paesi europei dell’Alleanza: Belgio (10-20), Germania (10-20), Italia (70), Olanda (10-20) e Turchia (circa 50-70. Queste bombe, custodite sotto il controllo americano dagli US Munitions Support Squadrons (Munss), possono essere trasportate, tra gli altri, dagli aerei statunitensi F-15E e F-16C/D e dagli aerei delle forze europee, come gli F-16 belgi, olandesi, turchi e i Tornado italiani e tedeschi.

E’ rilevabile che il numero di cacciabombardieri F35 (a doppia capacità convenzionale e nucleare) richiesti dal ministro ammiraglio Di Paola corrisponde grosso modo al numero di tali bombe presenti in Italia. A conferma della nuova corsa agli armamenti nucleari, il Pentagono (con il Life-Extension Program LEP passato da un costo di 4 a 10 miliardi di $) ha deciso la modernizzazione di queste bombe obsolete in B61-12 teleguidate, utilizzabili proprio sugli F35. Inoltre, 800 milioni di dollari serviranno per aumentare la precisione delle B61 a cui vanno sommati altri 340 milioni per adattare gli F35 a portare queste bombe. Tutto ciò viene considerato cruciale per la deterrenza contro eventuali avversari proprio in un contesto regionale e per il supporto agli impegni statunitensi per la cosiddetta “dissuasione”.

Sono nuvole o funghi nucleari all’orizzonte?

Tratto da www.archiviodisarmo.it

*l’autore è vicepresidente di Archivio disarmo


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