FELICE CASSON: “sulla vita umana non si tratta”

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La salute o il posto di lavoro? Qual è la priorità? Chi ha fallito in questa vicenda? Quali responsabilità ha la politica? Anche l’informazione ne ha? E quante Ilva ci sono nel Paese? Abbiamo intervistato il senatore veneziano del Pd Felice Casson che, da magistrato, ha indagato, per anni, su una vicenda tragicamente analoga: quella delle morti del Petrolchimico di Marghera.

“L’Ilva si salva solo se la proprietà decide di seguire il percorso indicato dei magistrati”. Lo ha dichiarato ieri la Fiom.
Una dichiarazione di assoluto buon senso e correttezza istituzionale e aggiungo che, se ci sono state interpretazioni diverse ciò è dovuto alla cattiva comunicazione nella fase iniziale di questa vicenda perché fin dall’inizio il provvedimento del gip sulle priorità e sulle esigenze che andavano tutelate era estremamente chiaro. Ora che siamo a conoscenza dei dati e la perizia è molto chiara tutti devono prenderne atto, a partire dal governo e dalle istituzionali locali.

Prendere atto di cosa?
Che sulla vita umana non si può trattare, sono finiti i tempi della monetizzazione dell’operaio e della popolazione.

Quanto pesa in tutta la vicenda il ricatto salute-lavoro?
Il ricatto è una costante di queste vicende nel corso dei decenni. In queste circostanze se la politica fallisce, come è successo per l’Ilva, chi ci rimette è l’anello piu debole della catena, cioè l’operaio.

Politica e sindacati dovevano arrivare prima?
Esattamente, e senza inventarsi nulla ma attenendosi semplicemente alla legge, e ai principi sacrosanti espressi dal secondo comma dell’Art. 41 della Costituzione secondo cui l’iniziativa economica non si può svolgere in contrasto con la salute, la dignità, la libertà e la sicurezza della persona.

C’è stato un “conflitto di attribuzione” tra magistratura e politica sull’Ilva?
No, sono due piani diversi: fino a questo momento la politica ha fallito perché quando, non la magistratura ma i periti, che sono esperti di assoluta fiducia ci dicono che il pericolo è attuale e che i bimbi piccoli muoiono a causa delle lavorazioni di questo ultimo periodo, di fronte a questa situazione se la politica non interviene adeguatamente è “costretta” a farlo la magistratura, per far rispettare le leggi, le norme della Costituzione e del codice penale.

Quali analogie ci sono con la vicenda del Petrolchimico di Marghera?
La vicenda era analoga nella fase iniziale e finale. Si era accertato un modo dissennato di produrre e una totale mancanza di rispetto delle regole che aveva condotto a morti, malattie e a un forte inquinamento ambientale. Nella fase intermedia – a Marghera abbiamo svolto il processo principale che ha condotto alla condanna degli amministratori delegati della Montedison – non è stato necessario fare il sequestro perché nel processo di Marghera si giudicavano fatti e comportamenti colpevoli che si erano verificati almeno dieci anni prima e le lavorazioni pericolose erano già state interrotte. Però le conseguenze negative sugli operai e sull’ambiente continuavano ad avere effetto e continueranno purtroppo ancora ad averlo. A Marghera però le cose sono cambiate rispetto a qualche decennio fa mentre a Taranto no, e questa è una differenza fondamentale.

Quante Ilva ci sono in Italia?
Ogni sito industriale può rappresentare una situazione di potenziale pericolo, poi bisogna vedere sito per sito dove ci sono situazioni effettivamente pericolose e dove no. I siti sono disseminati in tutta Italia, dalla Sicilia, alla Sardegna alla Puglia, da Ravenna a Ferrara a Mantova ma con situazioni diverse l’una dall’altra.

Che ruolo ha avuto l’informazione?
Avrebbe dovuto avere maggiore autonomia e serietà professionale; purtroppo c’è stata un’informazione univoca soprattutto da parte dell’Ilva e abbiamo dovuto aspettare un bel pò per conoscere le perizie provenienti dall’ufficio del giudice e per sapere che c’era davvero una situazione di pericolo in corso e che i bambini da 1 a 5 anni presentavano eccessi di malattie e mortalità al di là di ogni limite. Se questi dati fossero stati conosciuti e pubblicati dall’inizio anche il comportamento e la reazione delle forze politiche, della popolazione di Taranto e non solo sarebbe stato totalmente diverso e più a favore della bonifica, prioritaria e totale della zona.


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