Sarajevo e Rwanda, le ricorrenze dei due eventi che mostrarono il disordine del mondo

0 0

Il 6 aprile: un giorno per due ricorrenze, nel 1992 l’assedio di Sarajevo che durò oltre mille giorni, e poi il Rwanda nel 1994, la strage dell’etnia Tutsi massacrata dagli Hutu (almeno 800mila le vittime), anche se in precedenza pure questi ultimi erano stati vittime di violenze.Due conflitti civili, due momenti di tragedia e di strage durante i quali a pagare il prezzo più alto furono le popolazioni civili, gli inermi, i più deboli. Due crisi che esplosero a pochi anni dalla caduta del Muro di Berlino e quindi dalla fine di quell’equilibrio dei blocchi contrapposti – Usa e Urss – che ‘garantiva’ l’ordine del mondo. Da allora le Nazioni Unite sono state investite di enormi responsabilità alle quali, inevitabilmente, non hanno saputo fare fronte.

Interessi nazionali e regole antiquate come il diritto di veto di un solo Paese al Consiglio di Sicurezza, hanno impedito una riforma di quell’organismo che, pur fra limiti evidenti, dovrebbe essere punto di riferimento nelle crisi internazionali più gravi. E così la ricerca di un nuovo ordine mondiale è diventata una chimera di questi ultimi vent’anni. Intanto il mondo ha continuato a cambiare: dall’America Latina all’Europa dell’est, all’Asia. Nuove potenze economiche, nuovi protagonisti sono apparsi e si sono affermati. Ma sono esplosi anche nuovi scenari di crisi in cui una “governance” internazionale sarebbe utile e forse decisiva. Il discorso, va da sé, riguarda anche l’Europa.

La scrittrice e giornalista di Sarajevo, Nadira Sehovic, ricordando i giorni dell’assedio ha detto alla Radio Vaticana: “Quel che è accaduto è sempre presente: è presente anche in novembre o in gennaio, non soltanto il mese di aprile. Sì, tutti noi ricordiamo che è cominciato allora, ma la guerra, l’assedio, le violenze, i morti (solo di civili, in città, più di 11 mila), tutto ciò si ricorda ed è presente nella memoria collettiva della città ogni giorno e condiziona la vita quotidiana di tutti noi ogni giorno, di anno in anno, perché per quanto ci si sia allontanati da quelle tragedie, tutte le nostre vite sarebbero state sicuramente molto diverse se la guerra non ci fosse stata”.

“Oggi – prosegue la scrittrice – la struttura della popolazione cittadina è cambiata notevolmente, una delle etnie, quella bosniaco-musulmana, è ora l’etnia più numerosa e il motivo è semplice: gli altri avevano dove andare, i musulmani no. Le popolazioni rurali si sono rifugiate a Sarajevo, anche durante la guerra, lo so che può sembrare molto strano dire ‘si sono rifugiate’ a Sarajevo durante la guerra, a Sarajevo che era sotto assedio. Eppure molti profughi sono venuti, o sono stati spinti a entrare in città, anche durante l’assedio, provenienti dai dintorni”.
E tuttavia “è rimasto comunque il senso della tolleranza, del buon vicinato e di tutto quello che noi chiamavamo lo ‘spirito di Sarajevo’, che significava appunto la presenza di molte culture e molte religioni”.

tratto da http://ilmondodiannibale.globalist.it


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21