Il voto regionale e quella maschera democratica dell’oligarchia

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Il dato tremendo è quello dell’affluenza. In Emilia Romagna il 37% di votanti, in Calabria il 44%. Il tema fondamentale è che se il dato del calo degli elettori dovesse essere confermato in caso di elezioni politiche e il futuro parlamento fosse eletto dal 40% degli aventi diritto, un partito che potesse raccogliere meno di due elettori italiani su dieci potrebbe avere il 55% dei deputati. E se il Senato fosse eletto con la nuova legge come una sorta di ente nazionale di secondo grado il risultato sarebbe lo stesso. Si arriverebbe a quel che Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky hanno definito, in una conversazione con Geminello Preterossi pubblicata da Laterza, alla vittoria della “maschera democratica dell’oligarchia”. Il Partito Democratico e il neo presidente Stefano Bonaccini hanno la maggioranza di 29 consiglieri su 50 della Regione Emilia Romagna con il 18% degli aventi diritto al voto. Il 63% degli elettori emiliano-romagnoli ha disertato le urne delegittimando la politica, i partiti e l’agire democratico.

Gerardo Mario Oliverio, candidato “non renziano” del Pd calabrese fa un po’ meglio. Ma la sua coalizione ottiene il gradimento del 27% degli elettori di Calabria. Il Pd calabrese è cosa che interessa un elettore calabrese su 10.

Male, malissimo Forza Italia, al 12 % (il 5,2% del totale di aventi diritto) in Calabria e all’8,36% (3,1% del totale di aventi diritto) in Emilia Romagna. Tutti i partiti perdono in termini di voti assoluti rispetto alle precedenti elezioni. Male, malissimo il MoVimento cinque stelle. Reggono in termini di consensi assoluti le forze di sinistra se si uniscono i consensi di Sel e l’Altra Europa con Tsipras. L’unica forza politica che può rivendicare un successo ma solo in Emilia Romagna è la Lega Nord che raddoppia i propri voti. E’ il trionfo di una neodestra che appare più nazionalista e antieuropea e che fa nella determinata opposizione al Governo Renzi il campo di confronto interno. Si tratta di un dato regionale ma sulla base di quel che è successo in questo fine settimana potranno cambiare alcune cose anche a livello nazionale.

Raffaele Fitto non ha fatto passare un minuto prima di chiedere l’azzeramento dei ruoli di vertice in Forza Italia. La sua posizione è chiara e simile a quella di Salvini. L’unico modo per raccogliere consensi alternativi a quelli di Renzi è posizionarsi all’opposizione. Un monito a quel Patto del Nazareno che indebolisce il ruolo “autonomo” degli azzurri. L’alleanza sulle riforme con Renzi, tanto per Fitto quanto per Salvini, penalizza il centrodestra. Molti degli elettori persi stanno nell’immenso bacino del non voto.

Ed è la stessa posizione che la sinistra interna del Pd sosterrà nei prossimi giorni. Giuseppe Civati già lo fa senza mezzi termini. L’Emilia Romagna, bacino di voti che aveva permesso allo stesso Renzi di trionfare alle primarie ha dato uno schiaffo al Pd. Quel 44% di consensi è legittimato dalle schede scrutinate ma non più dal “popolo” della sinistra che preferisce non votare. Le analisi dei flussi dei voti lo diranno nelle prossime ore. Il partito liquido immaginato da Renzi ha trasformato il voto in qualcosa di etereo, che rischia di reggere ed essere determinante solo con una partecipazione continuamente in calo degli elettori.

La stessa sinistra, che in questa situazione potrebbe rappresentare un’alternativa per l’elettorato di sinistra che non vota, non ha un progetto unitario ed è priva di una leadership capace di raccogliere consenso.

Infine un ultimo elemento che dovrebbe essere analizzato è quanto conta, in questa disaffezione al voto, il tentativo di azzerare i corpi intermedi; gli attacchi ai sindacati, alle libere professioni, al mondo associativo, al sistema della cooperazione. I temi dell’agenda politica, di sinistra e di destra, si sono piegati esclusivamente alle logiche della sopravvivenza delle classi dirigenti di quel mondo, all’equilibrio dei conti dello stato e non a quelli dei cittadini. Hanno abbandonato l’agenda sociale, l’agenda della partecipazione democratica, della condivisione, dei diritti.

La risposta che ne esce, rispetto ad un’agenda politica che appare lontana dalle esigenze e dalle necessità dei cittadini, è quella di una speranza affidata nemmeno più al qualunquismo o al populismo ma ad un nazionalismo che produrrà solo un arretramento della democrazia.

Oppure è quella di un disinteresse crescente verso quegli strumenti di democrazia partecipativa che apriranno le porte ad un individualismo privo di qualsiasi elemento di solidarietà.

giorgiorainews@gmail.com


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