Quanto “pesa” la Rai per i giornalisti italiani?

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I conti della Rai sono per loro natura al centro dell’attenzione. Scompaiono alla vista dei più quando hanno numeri positivi, tornano a far notizia quando prendono una brutta china e richiedono attenzioni qualificate. Ma c‘è una faccia di quei numeri, fino a ieri rassicuranti e oggi  ripiombati nella dura verità della matematica, che resta nascosta. L’azienda editoriale più grande d’Italia, il Servizio Pubblico Radiotelevisivo, a dispetto di simpatie o antipatie resta un elemento decisivo per la stabilità e la continuità di istituti ed enti della categoria giornalistica che assicurano prestazioni irrinunciabili: pensione e assistenza sanitaria. E’ evidente che il nostro sistema di assistenza, parlo – ovviamente – delle mie sole competenze, è capace di offrire solidarietà e prestazioni uniche in Italia ad un totale di 54mila persone, soci titolari e familiari, ma è altrettanto evidente che per mantenere un passo avviato ormai 38 anni fa e continuamente evoluto, aggiornato, ha bisogno delle grandi aziende editoriali. Realtà stabili e con contribuzioni che seguono percorsi di carriera lungo tutto l’arco della vita lavorativa.

Oggi il dibattito sui conti della Rai non è solo elemento “numismatico” della valutazione sull’operato della TV Pubblica, ovviamente “tutto si tiene”, la crisi dei conti denunciata dal DG Gubitosi racconta ben di più… Racconta di cosa succede a seguire la strada dell’addomesticamento del Servizio Pubblico agli interessi dei competitor privati, le non belligeranze che fanno ancora più male quando si parla di sana concorrenza sul mercato pubblicitario. Poi, sotto gli occhi di tutti, l’appiattimento dei palinsesti, la concorrenza feroce sui programmi futili e la desistenza su quelli che hanno sempre qualificato l’offerta Rai. Tutto si tiene e soprattutto, tutto si paga. Non c’è stata la stagione del conflitto d’interessi, gli interessi non si davano battaglia – come sarebbe anche giusto – andavano per mano verso una crisi inevitabile del comparto radiotelevisivo.

E’ c’è stato anche chi ha provato ad aprirci gli occhi, storia di ieri, chi ha detto che i numeri  erano sbagliati. Ha avuto coraggio e coerenza per abbandonare – scelte laceranti nell’Italia di oggi – sedia e potere del settimo piano di viale Mazzini. Oggi il consigliere Nino Rizzo Nervo, ieri inascoltato, si sentirà preveggente, spero invece di una Cassandra si senta un amministratore semplicemente non miope.

Ma questa è storia di ieri, oggi si tiene il fiato e si aspetta che i nuovi vertici della Rai decidano: hanno davanti un invidiabile ventaglio di cose da fare. Potrebbero far uscire i programmi del  Servizio Pubblico dallo stato confusionale, potrebbero decidere che il canone non è una tassa facoltativa, potrebbero – anche – limitarsi a tagliarela Rai, i numeri dei suoi addetti, dei suoi giornalisti. E molti probabilmente farebbero un sorriso, magari anche colleghi, scacchisti che vedono una sola mossa alla volta. Per l’assistenza sanitaria, perla Casagit, un’editoria senza Rai equivale ad un’assistenza senza terapie, senza riabilitazioni, senza cure domiciliari. Il peso economico è lo stesso, così importante che proprio quelle prestazioni sono considerate qualificanti per il DL Sacconi, oggi Legge, che permette ai soli soggetti che le assicurano l’iscrizione all’Anagrafe nazionale dei Fondi. Insommala Raipesa quanto la possibilità di dare un’assistenza completa e importante alle esigenze di noi tutti.

*  Presidente Casagit 


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