L’essere umano è una mera creatura economica?

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Cosa ci dice del capitalismo il fatto che abbiamo dei soldi e vogliamo spenderli ma non riusciamo a trovare nulla che valga la pena comprare?

Eula Biss parte dalla narrazione di semplici e ordinari episodi di vita vissuta per elaborare considerazioni di carattere più generale. In procinto di arredare la loro nuova casa, l’autrice e il marito sono in difficoltà perché, pur avendo disponibilità economica, non riescono a trovare oggetti e mobili di qualità. Tutto sembra loro industriale, ordinario, oggettistica in serie ed estremamente commerciale. Nulla su cui valga davvero la pena investire.

Il consumismo, che va a braccetto con il capitalismo, ha trasformato le produzioni e fors’anche le persone, che sembrano divenute ormai solo dei consumatori.

Le cose che abbiamo è uno studio sugli esseri umani come creature economiche, un saggio letterario e politico in cui torna centrale il tema, caro a Biss, dell’essere comunità.

 

Per Lewis Hyde, il desiderio di consumare è una forma di avidità. Ma i beni di consumo lusingano soltanto questa avidità, non la appagano. Il consumatore di merci è invitato a un pranzo privo di passione, a una consumazione che non conduce né alla sazietà né all’entusiasmo.

Gli ex proprietari della casa acquistata da Biss arrotondavano affittando la proprietà come set pubblicitario. Bisognava solo lasciare l’abitazione per tre giorni e si incassavano 8.000 dollari. La pubblicità è per la Walmart, la corporation che ha fatto la fortuna di quattro delle venti persone più ricche d’America. Eula Biss si meraviglia della proposta, perché loro non posseggono nulla della Walmart ma ciò non ha importanza. I mobili di Walmart saranno trasportati in casa. Le tende Walmart saranno sistemate alle finestre. Delle stampe Walmart appese alle pareti in cornici Walmart. Uno scenografo bianco e un regista bianco si metteranno al lavoro per creare un autentico interno afroamericano. Lo spot, infatti, prevede una nonna afroamericana che prepara un tacchino per le feste, in un classico bungalow di Chicago.

Nell’abitazione accanto alla casa di Biss e ad essa perfettamente uguale, vive una vera nonna afroamericana. Ma sono Eula Biss e suo marito ad essere pagati per far riarredare la loro casa in modo che somigli il più realisticamente possibile a quella reale ma ignorata dei vicini afroamericani.

Secondo Elizabeth Chin, le persone sono alienate in modo così totale e potente da essersi ridotte a oggetti; nel frattempo gli oggetti che producono e quelli che comprano hanno acquisito tutta la vitalità che le persone hanno perduto. Una delle cose principali che ha osservato Marx riguardo al capitalismo, è che induce le persone ad avere relazioni con gli oggetti anziché con le altre persone.

Solo così si può spiegare quanto accade nell’abitazione di Biss, trasformata in un set pubblicitario grazie a oggetti e attori, allo scopo di invogliare all’acquisto e al consumo di oggetti, ignorando le persone e considerandole solo delle creature economiche.

Consumare deriva dal latino consumere, che significa impossessarsi e divorare. Una persona può consumare del cibo o essere consumata dalla rabbia. Nel suo utilizzo più antico, quindi, il consumo implicava sempre distruzione.

Quello che viene distrutto quando pensiamo a noi stessi come meri consumatori, suggerisce David Graeber, è la possibilità di fare qualcosa di produttivo al di fuori del lavoro.  Il consumo era già indicato come l’opposto della produzione nell’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni di Adam Smith.

I Greci non attribuivano al lavoro il valore che gli diamo noi oggi. Il lavoro era per gli schiavi e le donne. Tenevano invece in grande considerazione lo studio. Il tempo libero era quello trascorso a riflettere e interrogarsi. Essere a proprio agio, condurre una vita di studio e contemplazione, significava godere di una vera libertà. Oggi il tempo libero è quello da dedicare al riposo o al divertimento, allo svago. E, in linea di massima, non gli viene riconosciuto molto valore perché non gliene si dà dal punto di vista economico.

Si pensava che la modernizzazione avrebbe riempito il mondo di posti di lavoro. Impieghi standard con salari fissi e benefit. Ma questi lavori ormai sono rarissimi, la gran parte delle persone vive con entrate molto più irregolari.

Eula Biss si chiede se sia la precarietà la condizione caratterizzante i tempi di oggi, ovvero se la nostra epoca è matura per percepire la precarietà.

Interrogativo difficile perché la precarietà è innegabilmente la condizione che rende tutti e ognuno vulnerabile.

Oggi chi può diventare precario? Tutti. Chiunque.

La malattia o la disabilità possono costringere una persona a entrare nel precariato, così come il divorzio, la guerra o un disastro naturale.

Con un esercito di lavoratori instabili, con impieghi incerti, con salari non adeguati, con scarse o inesistenti reti di protezione sociale uno Stato e i suoi cittadini quali certezze e garanzie offrono o hanno circa il proprio futuro?

Davvero tutto questo non interessa fino a quando si riesce a spremere comunque le persone nel loro essere creature economiche che continuano, nonostante tutto, a consumare beni e servizi?

 

La nostra interpretazione del valore, osserva Mariana Mazzucato, è circolare: i redditi sono giustificati dalla produzione di qualcosa che è di valore. Ma come misuriamo il valore? In base al fatto che produce reddito. E quindi il concetto di reddito non guadagnato scompare. Se riuscissimo a pensare al valore in modo diverso, potremmo modificare il nostro sistema economico in modo che una cosa che ha valore per tutta la società, come il benessere dei nostri figli o la tutela dell’ambiente, avrebbe anche un valore economico.

L’investimento è essenziale, ma bisogna domandarsi su cosa si vuol investire e soprattutto per ottenere cosa.

La lettura del libro di Eula Biss è strana, molto strana. In molti passaggi si ha la percezione di “entrare” nella vita dell’autrice, nella sua intimità familiare e ciò “imbarazza” il lettore. Nel senso che egli non vorrebbe mai ritrovarsi a fare i conti in tasca a Biss o giudicare le sue personali riflessioni. Ma poi, andando avanti con la lettura, si realizza che lo scopo del libro non è indagare la vita dell’autrice o le sue scelte, bensì riflettere sulla società in generale, sulla comunità che va a comporre quella società, sulle scelte economiche e politiche che incidono in maniera diretta e indiretta sulla comunità e sulla società. Ed ecco allora che appare in tutto il suo splendore la grandezza di un libro qual è Le cose che abbiamo.

 

Il libro

 

Eula Biss, Le cose che abbiamo. Essere e avere alla fine del capitalismo, Luiss University Press, Roma, 2022.

Traduzione di Chiara Veltri.

Titolo originale: Having and being had, Riverhead Books, Penguin Random House LLC, Stati Uniti d’America, 2020.

 

L’autrice

Eula Biss: scrittrice americana già docente alla Northwestern University.


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