L’Italia di Pippo Fava non morirà mai

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L’Italia di Pippo Fava, al pari della sua idea di Sicilia, di giornalismo e dei rapporti umani, non è morta e non morirà mai. Non l’ha uccisa la mafia, non l’ha travolta l’oblio, non l’ha sconfitta la violenza, la cattiveria e il costante tentativo di minimizzare determinate vicende.
Pippo Fava è morto il 5 gennaio di trentacinque anni fa, una settimana dopo aver compiuto l’ultima denuncia intervistato da Enzo Biagi, al termine di una vita esemplare, di innumerevoli battaglie, di una sfida costante con il destino, con la propria disperata voglia di raccontare, con i sempre più terribili ostacoli che gli vennero posti lungo il cammino, con la rabbia che aveva dentro e con la necessità di tenerla a freno.
Pippo Fava non ha mai smesso di crederci, di lottare, di amare e rispettare il prossimo, di cercare la verità e di insegnare ai suoi “carusi” la meraviglia di una professione che costituisce, per la sua stessa natura, una straordinaria occasione di battersi per una società migliore.
È morto sapendo, probabilmente, che sarebbe finita così. È morto aspettandoselo, cosciente di aver sfidato la mafia e i suoi tentacoli, le connivenze della peggior politica e il conservatorismo da sempre insito in una terra, al contempo, meravigliosa e gattopardesca. È morto dopo aver a lungo sofferto: per le calunnie subite, per le minacce ricevute, per l’isolamento cui spesso vanno incontro coloro che osano illuminare a giorno i tanti lati oscuri del nostro Paese. Eppure, come abbiamo detto all’inizio, Pippo Fava vive nell’impegno politico di suo figlio Claudio e nel ricordo dei suoi amici, allievi e collaboratori, vive nel loro esempio, nella loro volontà di portarne avanti le battaglie e in ogni cronista minacciato che, nonostante tutto, non si arrende.
Pippo Fava vive nella passione civile di Paolo Borrometi, di Giovanni Tizian, di Roberto Saviano e di tutti coloro, assai meno noti dei grandi professionisti che ho citato, che consumano le scarpe con un taccuino in mano in terra di frontiera.
L’idea che era in lui, il simbolo che incarnava non morirà mai. E noi continueremo a dire ciò che il potere non vorrebbe che dicessimo, a camminare a testa alta e a denunciare la barbarie e le storture di chiunque si azzardi a non rispettare la Costituzione e i princìpi cardine della democrazia.
Pippo avrebbe voluto così, senza perdersi in chiacchiere. Al massimo, abbandonandosi a un sorriso.

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