È singolare che gli ottant’anni di don Luigi Ciotti cadano in concomitanza con l’addio a Stefano Benni: un sacerdote che ha sempre posto sullo stesso piano Vangelo e Costituzione e uno scrittore dichiaratamente comunista che ha sempre avuto come bussola la Costituzione e la dignità umana. Due personalità diversissime ma destinate a incontrarsi, in quest’Italia nella quale viene costantemente calpestata tanto la Costituzione quanto il Vangelo, ignorato anche da coloro che si dicono credenti e magari la domenica si recano ipocritamente in Chiesa dopo aver varato leggi persecutorie nei confronti degli ultimi, dei migranti e di tutte e tutti coloro che cercano invano, almeno politicamente, quel Dio d’Avvento che costituiva il faro di papa Francesco e che in buona misura appartiene anche alla predicazione di Leone XIV. Se poi diamo un’occhiata a com’è ridotta l’informazione e a com’è tratta la satira in questo Paese, troviamo le risposte ai nostri molteplici interrogativi.
Don Ciotti: un prete di strada sempre dalla parte degli ultimi, un “pretaccio” per dirla con Candido Cannavò, al pari di don Gallo e di altri uomini animati da una fede autentica e pura, ha speso l’intera esistenza a combattere il malaffare, ad aiutare i deboli, a venire incontro ai disperati, a creare comunità e a battersi contro ogni forma di sopruso e di ingiustizia.
Stefano Benni: un finissimo umorista, ha speso l’intera esistenza a sferzare il potere e i suoi rappresentanti, mettendoli in ridicolo con fare quasi da giullare, in questo riecheggiando la grandezza di Dario Fo e fondendo il cazzeggio e lo sberleffo, la politica e la battuta folgorante, l’analisi finissima e la lotta in punta di fioretto, senza mai scadere nella volgarità.
E così, dopo aver salutato e reso il dovuto omaggio a Benni, abbracciamo idealmente il nostro don Luigi, amico fraterno di questa associazione, e gli auguriamo ogni bene, certi che lo troveremo presto al nostro fianco in qualche piazza, in qualche corteo o su qualche palco, armato delle uniche armi che concepisca, ossia, per l’appunto, il Vangelo e la Costituzione, con l’aggiunta della bandiera della pace.
È un’altra Italia, quella che abbiamo delineato. È quella che Enzo Biagi avrebbe definito “la mia Italia che non si arrende”. E nello scrivere queste riflessioni non possiamo non pensare a Santo Della Volpe, che di don Ciotti era un amico strettissimo e che oggi sarebbe stato il primo a inviare un articolo su di lui o magari un’intervista delle sue.
A quell’Italia, che ha letto in piazza Santi Apostoli i nomi delle croniste e dei cronisti palestinesi assassinati dall’esercito israeliano mentre svolgevano il proprio dovere di informare e di cui Santo sarebbe stato un portabandiera, ci sentiamo legati da un affetto che non si può descrivere a parole. E continueremo a difenderla, a riunirla, a guardarla negli occhi e a trasformarne le ansie, le passioni e persino la rabbia in speranza e proposta politica. Finché don Luigi ci sarà accanto con le sue meravigliose armi disarmate, non avremo nulla da temere.
