Davanti all’ingresso ci sono ancora i cartelli con le indicazioni direzionali che portavano al presidio per i vaccini anti covid, realizzato di corsa nel surreale e freddo inverno del 2020. Sono arrugginiti come la palina della fermata Cotral, coperta dagli arbusti. E’ qui che ha funzionato per tutto il periodo della pandemia uno dei maggiori hub vaccinali della Regione Lazio, nell’ex centro sportivo del dopolavoro Fiat di Piedimonte San Germano, ora invisibile all’esterno per il massiccio cancello che lo separa dalla strada e da qualunque occhio indiscreto che volesse ripercorrere gli anni di un’altra epoca, quella dei servizi socioculturali per gli operai. Di cui non resta nulla, a parte la porta dell’ex campo di calcio che sporge dall’erba alta e a parte il tendone installato dalla Croce Rossa al tempo dei vaccini, ormai quattro anni fa, in un tempo che appare anch’esso molto lontano. E’ qui, oltre i numeri, che si vede come si sta trasformando la più grande fabbrica della Ciociaria, una delle maggiori del centro Italia, costruita alla maniera dei maxi stabilimenti degli anni 70 e ora fuori moda, fuori onda, fuori tempo, fuori tutto. Anzi fuori tutti perché è in atto, da tempo, una progressiva, e praticamente irreversibile, riduzione dei dipendenti. L’immenso insediamento di cemento grigio, così grigio che sembra essere atterrati all’aeroporto sovietico di San Pietroburgo, è decadente non solo per colpa della crisi e di molte sezioni chiuse ma perché è passato mezzo secolo da quando lo hanno costruito e ora sui muri ci sono erbacce incolte. La fabbrica si è ristretta, questo è accaduto. Il lungo parcheggio è occupato per un quarto, gli ingressi sono semi deserti per via della cassa integrazione a singhiozzo. Per chi arriva davanti a quello che resterà per sempre lo “stabilimento Fiat di Cassino”, a dispetto di tutti i cambi societari e del fatto che qui in realtà siamo nel comune di Piedimonte San Germano, il primo impatto è comunque la sensazione di trovarsi di fronte ad un pezzo essenziale di economia, un’installazione urbanistica e industriale che ha cambiato così tanto il territorio che ora è impossibile tornare indietro. E se “crolla” (tradotto: chiude) la Fiat di Cassino, viene giù tutto, perché non c’è una famiglia nell’intero comprensorio che non abbia o non abbia avuto al suo interno un dipendente-collaboratore-consulente della Fiat e dell’indotto. Tra leggenda e verità, l’autostrada non sarebbe passata da Cassino senza la Fiat e nemmeno la linea dell’alta velocità Roma-Napoli e non sarebbe stata istituita l’Università né la Facoltà di Ingegneria e non ci sarebbero stati centri sportivi per i dipendenti né squadre sportive col nome dello stabilimento, e non ci sarebbe stata la lotta armata dei brigatisti rossi, né violenze, né arresti per terrorismo né processi 40 anni fa con gli elicotteri a sorvolare il Tribunale e non sarebbe stata scritta una storia operaia tutta “made in Ciociaria” e non sarebbe stato coniato il vocabolo “metalmezzadri” e non ci sarebbe stato un operaio eletto in Parlamento e non sarebbe stata creata un’intera rete di trasporto pubblico che collega ogni minuscolo centro della provincia di Frosinone con la Fiat. Sì, ecco cosa resta davvero oggi della rete di servizi sociali per gli operai dello stabilimento: il trasporto Cotral, la società regionale che ogni giorno assicura il collegamento a prezzo calmierato dal più piccolo borgo ai cancelli di Piedimonte San Germano. E’ possibile che ci sia tutto questo in discussione ai tavoli di queste settimane “per la salvaguardia dei livelli occupazionali”. Non è in gioco solo il lavoro di migliaia di persone, c’è dell’altro e riguarda l’assetto di un pezzo di Paese, cambiato certamente, cambiato a cominciare dal centro sportivo scomparso, ma non sostituibile perché, in realtà, non ci sono alternative. Se non una nuova emigrazione, in parte già iniziata. Questo stabilimento, alla sua apertura, ha riportato nei paesi della Ciociaria una moltitudine di famiglie che negli anni Sessanta erano emigrate in Svizzera e Germania, rientrate per fare qui le stesse cose che facevano lì, le famiglie di operai. E nel frattempo una quota rilevante dei primi immigrati dal nord Africa cominciava a trovare in questi spicchio di centro sud dell’Italia un luogo in cui vivere da commercianti ambulanti oppure muratori. Dei tanti che a lungo hanno affollato il vialone che corre lungo tutta la parte principale della Fiat, ne sono rimasti solo due e vendono ancora radioline da dieci euro e coltelli da tasca più altra cineseria che ora comprano solo i camionisti polacchi che scaricano pezzi di manutenzione sul lato nord della fabbrica. Sì, il lato del centro sportivo dismesso.
Hassad si chiama il commerciante che ha resistito a tutte le crisi. “Vivo a Piedimonte da quando sono arrivato in Italia dall’Egitto, 40 anni fa, e sto bene. Ormai vendo quasi solo ai camionisti polacchi che vengono a scaricare qui. Lo sai che i tir ormai li guidano solo polacchi e rumeni? Comprano un po’ tutto, certe volte mi lasciano un acconto per ordinare piccole cose, tipo i tergicristalli e io so che più o meno ogni due settimane tornano e trovano ciò che mi hanno chiesto”. Hassad, in fondo, contrasta a suo modo Amazon. Questa settimana vende anche piccoli ventilatori che puoi installare sul cruscotto e teli per il mare, fornelli per scaldare il cibo se vai in campeggio. “Questi li ho venduti a molti operai, ne vuoi uno? Dieci euro”. E’ un buon prezzo, meno di quanto costerebbe sulle piattaforme ed è un oggetto che non inquina, in più riporta indietro, all’economia degli anni 70 che forse qui è rimasta com’era.


