Il popolo ebraico è stato indubbiamente tra i più martoriati nel corso della sua intera storia plurimillenaria e l’Olocausto del secolo scorso ha rappresentato il culmine di una aberrazione a cui una parte consistente della comunità internazionale ha cercato di offrire una “soluzione” nel secondo dopoguerra. La controversa nascita dello stato d’Israele nel 1948 ha però costretto o indotto all’esodo un altro popolo, quello palestinese, che ha dovuto subire pesanti erosioni di gran parte dei territori in cui era insediato da secoli.
Le successive guerre arabo-israeliane hanno poi comportato profondi cambiamenti nella geografia di quei paesi, alcuni dei quali erano stati colonie fino a pochi anni prima. Le “linee verdi”, frettolosamente tracciate, determinavano sempre nuove diaspore e non furono di fatto mai riconosciute fino in fondo dalle controparti. I palestinesi, in particolare, sono stati costretti a rifugiarsi in Cisgiordania, nella striscia di Gaza o a disperdersi presso paesi confinanti.
Questa situazione, proiettata nel contesto mondiale, ha alimentato uno stato di continua tensione nei decenni successivi: nuove guerre, guerriglie, intifade, occupazione di nuovi territori da parte di coloni israeliani, azioni terroristiche perpetrate prima da gruppi ribelli palestinesi e successivamente da organizzazioni che rispondevano ai mutamenti geopolitici della regione.
La fragile democrazia israeliana, ritenuta da parte “occidentale” un valido modello da esportare e da proporre, non solo non ha prodotto un effetto di contagio per emulazione, ma, al contrario, ha favorito l’accentuarsi di una aperta avversione verso l’intero mondo “liberista” e, a sua volta, è regredita, avvitandosi come un regime fortemente condizionato da autorità religiose ispirate a un rigido sionismo.
Le funeste successioni di attentati terroristici e di reazioni sempre più violente hanno quindi innestato manicheismi talmente esasperati da far riemergere forme di razzismo e aberranti discriminazioni in uno scenario di continue violazioni dei più elementari diritti umani.
Si consuma così il dramma del popolo di Gaza e della Cisgiordania, condizionato all’interno dal massimalismo di gruppi terroristici di cui è ostaggio, che prospera nella logica del “tanto peggio tanto meglio”; dall’esterno, invece, si subisce la feroce repressione dall’esercito israeliano, che non esita a ricorrere alle deportazioni, seguendo vere e proprie logiche di sterminio.
Affiora così, nel contempo, un tragico, anche se meno vistoso, paradosso che riguarda il popolo ebraico: vittima di uno dei più atroci genocidi perpetrati dai regimi nazifascisti del Ventesimo secolo ora viene additato al pubblico ludibrio per aver consentito “democraticamente” l’affermarsi di un regime criminale capace di violare con tracotante crudeltà le più elementari regole umanitarie. La lotta al terrorismo è diventata un tutt’uno col “genocidio” di una intera popolazione per fame, sete, stenti, bombe e violenze di ogni genere su donne e bambini.
Non si tratta, certo, di una novità. Esistono numerosi precedenti storici: vittime che diventano carnefici e democrazie che si trasfigurano abbandonandosi agli stessi soprusi delle più spietate dittature. Ma questo dato di fatto costituisce un’aggravante e non una giustificazione e porta una parte consistente della popolazione mondiale a rendere le nostre logore democrazie, ammalate di indifferenza, indistinguibili da certi regimi sanguinari. In altri termini, vaste, disorientate, moltitudini non discernono più le cricche che detengono il potere dai popoli, dalle genti. Ed è a questo punto che si ferma la ragione e ri-nascono i razzismi, le nuove forme di antisemitismo, mentre si rinfocolano nazionalismi e suprematismi, con tutti i loro mostri al seguito. I popoli vengono ridotti a etnie che seguono logiche tribali. Si assassinano i Rabin di turno, si bruciano le bandiere e si inneggia all’annientamento del nemico. Le crisi ambientali, le disuguaglianze, le guerre fanno il resto, trascinandoci tutti verso un unico atroce destino dove si spegne perfino la voce poetica, saggia e “ribelle” di una testimone come Edith Bruck e la disumanità diventa la regola a cui ci si abitua.