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Padri e figli: perché rileggere oggi Alessandro Galante Garrone

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Con Alessandro Galante Garrone siamo in molti ad avere contratto un debito: quello dei figli verso i padri che, di generazione in generazione, ci hanno educati al senso della responsabilità, da intendersi come cosciente consapevolezza di essere parte di una comunità  che si forma nella “cittadinanza” per costituire la base di uno stato e per tendere alle unioni degli stati, dei popoli, fino all’umanità intera. Un prerequisito essenziale per poter oggi compiutamente declinare  i concetti di libertà, di uguaglianza, di giustizia,  frutto di conquiste fondamentali storicamente spesso pagate col sangue.

È dunque  bene, leggere, o rileggere, con attenzione Padri e figli (Cuneo, Araba Fenice, 2024) di Alessandro Galante Garrone.  Non si tratta solo di un omaggio verso un intellettuale raffinato, uno studioso insigne, uno storico illustre e, prima ancora, un partigiano e antifascista integerrimo. Scorrere quest’opera, induce a riflettere su altre mille letture, costringe a un salvifico esercizio della memoria, fino ad immergerci in un reticolo di misteriosi fiumi carsici attraverso rivoli di cui magari ci pareva di ignorare perfino l’esistenza e la sorgente.

Va dunque salutata con riconoscenza  la ristampa di questo libro, grazie all’impegno di Francesco Campobello, che ne ha arricchito la nuova edizione con la cura e la stesura di un importante saggio introduttivo il cui titolo già rappresenta l’indicazione di un percorso: La trasmissione del sapere, del dovere e del volere. Ideali e biografie tra generazioni del Novecento. E poi, in calce, la nota preziosa del direttore del Centro studi “Piero Gobetti” di Torino, Pietro Polito: Alessandro Galante Garrone illuminista del nostro tempo.

Ma  il tomo racchiude anche Generazioni, ovvero la testimonianza di Giovanna, figlia di Alessandro. Ed è in queste pagine rapide, calde, essenziali, che si possono  cercare le tracce del lascito regalato dal  professore alla figlia e, indirettamente, a tutti noi. Traspare un “metodo  di civiltà”, come risposta a certi nostri presuntuosi atteggiamenti scaturiti in parte da ingenue esuberanze, in parte da residui che ancora aleggiano nei diversi strati sociali di una Italia che forse non ha mai saputo compiutamente emanciparsi da certi  tratti di arroganza capace, peraltro, di andare tranquillamente a braccetto col servilismo rassegnato dei più.   Galante Garrone, al riguardo, è analista profondo e maestro nell’indicare qualche linea comportamentale che Giovanna sa raccogliere dal suo intimo, plasmato da ricordi sempre più flebili: i lontani tumulti degli anni Sessanta; un incontro sul caso Pinelli organizzato da Luigi Bobbio; i confronti continui alimentati dal desiderio irrefrenabile di capire l’altro serbando nel cuore la luce della stella polare che sa indicarci i limiti che non vanno valicati se non si vuole  precipitare nell’oscurantismo. Un messaggio che, ancora oggi, rende  dunque impossibile la riconciliazione con chi non accetta “come un fatto irrevocabile la vittoria degli ideali di libertà e giustizia rappresentati dalla Resistenza e trasfusi nella Costituzione”: perché la civiltà non può patteggiare con le barbarie senza tradire i “nostri morti” o scadere nel “meschino opportunismo”. Perdono, pietà, civile convivenza, certo. Ma senza mai dimenticare la distinzione fra chi combatté e morì per questi alti ideali, e coloro che, invece, – alcuni magari in buona fede – si schierarono a fianco di oppressori, razzisti, despoti spietati ed egoisti divorati da implacabile sete di dominio.   Il messaggio rievocato da Giovanna può certo apparire oggi stanco, superfluo, o perfino inopportuno. Ma proviene da un lontano percorso che questo  libro delinea con nomi e fatti che compaiono come pietruzze di orientamento: Piero e Ada Gobetti, Benedetto Croce, Francesco Ruffini, i fratelli Rosselli, Leone Ginzburg, Ernesto Rossi, gli uomini della Resistenza, Norberto Bobbio, fino a Carlo Casalegno, barbaramente trucidato dalle Brigate Rosse. Siamo fuori epoca? Nel tempo dell’efficientismo elevato a sistema, delle IA, questi ideali, sono ormai anticaglie lontane e ingombranti che intralciano il “vero progresso”?  O quella Resistenza costituisce ancora un riferimento per cui vale ancora la pena combattere? Galante Garrone sembra  rispondere che i democratici, i laici, le donne e gli uomini liberi un dubbio lo devono almeno preservare: non solo come  liturgia di una ricorrenza destinata a sbiadire, ma  nella essenza  dei valori  che intendiamo lasciare ai nostri figli. Prima che i sentimenti che sgorgano da queste storie vengano definitivamente sopraffatti dalla potenza degli algoritmi e dei media, intenti a costruire una nuova  memoria individuale e collettiva a favore dei nuovi potenti.

Alessandro Galante Garrone, Padri e figli, Nuova edizione a cura di Francesco Campobello, con una testimonianza di Giovanna Galante Garrone  e una postfazione di Pietro Polito, Cuneo, Araba fenice, 2024


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