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Lo shopping straniero in Italia

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Forse si risolve l’annosa e dolorosa vicenda della ILVA di Taranto. Dopo il raggiro di Arcelor-Mittal, siamo in attesa di una ulteriore offerta per rilevare quello che potrebbe diventare il più grande centro siderurgico d’Europa. Speriamo che i nuovi acquirenti non ripetano la splendida trovata dei franco-indiani: ti compro per produrre meno e peggio; erodendo dal di dentro un concorrente nella produzione di acciaio, facendo aumentare il fatturato negli altri stabilimenti.

Quasi tutti gli stranieri che hanno acquistato strutture industriali in Italia hanno, quasi subito, delocalizzato e chiuso. Nella migliore delle ipotesi, per risparmiare, producendo altrove. Altre volte per eliminare, a bassi costi, un concorrente sgradito. In extremis sembra che la Turca Beko abbia rinunciato ai licenziamenti del personale in Italia, ma sembra solo una soluzione tampone.

Ma il vero problema è sul futuro industriale dell’Italia. Che si fa sempre più oscuro sia per la crisi dell’industria tedesca, che colpisce indirettamente i suoi fornitori del nord Italia, che per la concorrenza cinese che strozza l’industria italiana con prezzi stracciati. Alla esistente situazione si aggiungeranno i dazi di Trump che limiteranno le esportazioni negli Usa.

A tutto questo nessuna risposta da parte dell’Europa, che crea più problemi che soluzioni, impedendo gli aiuti di stato e creando condizioni insostenibili per la produzione europea, sottoposta a restrizioni burocratiche (anche ambientali) altrove impensabili. Siamo in enorme ritardo in tutti i settori chiave e creiamo difficoltà alle aziende con normative insostenibili: come la normativa per le auto elettriche e quella per il recupero ambientale degli edifici.

Forse tutte le iniziative europee hanno il solo scopo di favorire lo shopping straniero.


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