La memoria di don Peppe Diana è azzurra, come i 7000 scout arrivati a Casal di Principe

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Vederli lì, esattamente 30 anni dopo, vestiti di azzurro, il colore della speranza, fa un effetto che non ti aspetti. Migliaia di giovanissimi scout sfilano per le strade di Casal di Principe a poche ore dal trentennale dell’assassinio di don Peppe Diana, avvenuto il 19 marzo del 1994, il giorno del suo onomastico, nella canonica della sua parrocchia nel cuore dell’impero del feroce clan dei casalesi. E’ un’immagine, la loro,  che ripaga quella terra martoriata dalla camorra. Gli scout, più di settemila, sono venuti sin qui, per l’inaugurazione della statua di don Diana nel cimitero del paese. E’ un giorno diverso, che segna probabilmente la vittoria finale del bene della lotta alla criminalizzata sul male che essa rappresenta. Un fiume di giovani in pantaloncini e camicia azzurra invade Casal di Principe con slogan, disegni, striscioni, sorrisi e auguri ma soprattutto con un messaggio da consegnare. Il corteo è partito dallo stadio, aperto dallo striscione  “Don Peppe Diana compagno di strada”, portato dai ragazzi del gruppo Casale 1, gli scout casalesi nati appena un anno fa nella cittadina casertana. In 30 anni molte cose da queste parti sono cambiate, altre sono ancora là, a rappresentare come la lotta alla mafia sia una scelta quotidiana, mai scontata. E’ quasi inevitabile fare il confronto tra questi ragazzi e i loro coetanei di Partinico che hanno detto “no” alla intitolazione del liceo a Peppino Impastato perché sarebbe stata una scelta divisiva. Alla vigilia della Giornata della Memoria e dell’Impegno voluta da Libera quanto accaduto a Partinico suona come una sveglia amara, compensata da questo corteo blu che arriva dalla provincia di Caserta, dove da settimane si stanno preparando al trentennale della morte di don Peppe, con incontri nelle scuole, dibattiti, mostre, iniziative. Qui si continua a tenere alta l’attenzione perché c’è la consapevolezza che mollare di un solo centimetro nella lotta sociale alla camorra equivarrebbe a tornare  nel baratro dei primi anni Novanta, quando questa era terra di nessuno e quando un parroco ha pagato con la vita l’aver scritto una lettera ai suoi concittadini e fratelli, lanciando l’allarme. “Per amore del mio popolo non tacerò”.

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