Milei: il coltello nella piaga degli argentini

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Redditi fissi dimezzati nella loro capacità acquisitiva e liberalizzazione dei prezzi. Crisi nella crisi. Morire per rinascere. La maxi- svalutazione decisa è la prima mossa concreta ed effettiva nel processo di risanamento economico del grande paese sudamericano, varata dal neo-presidente Javier Milei. Finite le chiacchiere elettorali: niente dollarizzazione, nessuna demolizione della casta politica (che nella sua parte conservatrice e iper-liberista è stata anzi cooptata nel governo), l’aborrita banca centrale resta viva e vegeta (vigilata dal presidente in persona). Tutto quanto promesso fino a un minuto prima del voto per il giorno seguente all’insediamento nella Casa Rosada viene rinviato a data da destinarsi. La maggior parte degli esperti d’ogni parte politica aveva ripetutamente avvertito dell’impossibilità tecnica di applicare il programma oltranzista di Milei, solo lui continuava a negarla, a dispetto anche del semplice buon senso. Ora ammette che in effetti: “non si può”.

Alla prova dei fatti mancano i dollari e i pesos valgono sempre meno: adesso ce ne vogliono ben 800 per acquistare legalmente un solo usdollar (prima del provvedimento ne bastavano 366, l’aumento è del 119 per cento, la svalutazione risulta del 54). Corrisponde a circa un 85 per cento del cambio reale, quello del mercato nero, arrotondato nella media con gli altri 6 diversi tipi di cambio ufficiali applicati nelle contabilità delle varie tipologie di transazioni commerciali. Non è un’invenzione gratuita del nuovo ministro dell’Economia. E di necessità vengono bloccati i finanziamenti agli appalti pubblici, cancellati quelli contrattati ma non ancora avviati. A pagarne le conseguenze sarà la quasi totalità, comunque l’enorme maggioranza dei 47 milioni di argentini. Poiché fin da subito la conseguente frenata delle attività produttive si rifletterà sia sul mercato pubblico sia su quello privato, in termini di occupazione e consumi. Il commercio all’ingrosso e quello al dettaglio, in seria, crescente difficoltà negli ultimi 2 anni, subiranno un colpo destinato a coinvolgere anche il settore immobiliare.

Per quel 40 per cento della popolazione che i dati ufficiali collocano nella povertà il colpo potrebbe essere decisivo, la frattura sociale forse irrecuperabile. Il ministro dell’Economia, Luis Caputo, uno degli uomini dell’ex presidente Mauricio Macri entrato nel più ristretto gruppo dei collaboratori di Milei, ha previsto di attenuare la severità delle sue misure soltanto la parte più vulnerabile dei cittadini in stato di grave sofferenza. L’effetto della svalutazione moltiplica per 3 o 4 volte le tariffe dei trasporti e di tutti gli altri servizi, dall’energia alla raccolta dei rifiuti. A cui si aggiungono le rette scolastiche, le assicurazioni sanitarie, gli affitti, le spese condominiali, che colpiscono direttamente anche le amplissime fasce di classe media non protette dalla possibilità di risparmiare in dollari o in euro. E’ uno scenario mai visto prima. Se si eccettua la catastrofe determinata dal default del 2001, con sequestro dei conti correnti bancari, disoccupazione e inflazione. In cui terminò l’esperimento di privatizzazioni selvagge (non di liberalizzazioni regolate e programmate), realizzato dal presidente liberista Carlos Menem nel decennio 1989-99.

Non sono solo i grandi sindacati, la CGT del più smaliziato e consumato peronismo burocratico in testa, a preannunciare una mobilitazione in difesa del lavoro dipendente. Fanno altrettanto grandi imprenditori della costruzione, che denunciano la illusorietà di escludere completamente lo stato dalla gestione dei lavori pubblici. Sostengono che non accade in nessun paese del mondo. La Shell ha intanto aumentato i prezzi del 37 per cento e sarà presto seguita dalle altre imprese di combustibili. Il filtro alle importazioni sta lasciando sguarniti magazzini industriali e scaffali di supermercati. E’ un terremoto. Nondimeno il governo riafferma la sua prima manovra finanziaria dichiarando che è “indispensabile per il contenimento del disavanzo commerciale”, per “ridurre l’incremento dell’import”, per “recuperare l’equilibrio della bilancia commerciale”. Se ne può dedurre che senza segni concreti d’implacabile chirurgia finanziaria il Fondo Monetario non accetterebbe di negoziare la rimodulazione dei pagamenti del gigantesco debito contratto 5 anni addietro dall’ex presidente Mauricio Macri (44 miliardi di usd) e men che meno la concessione di ulteriori, nuovi crediti, imprescindibili per evitare il default.


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