La favola dei fratelli siamesi

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C’era una volta un posto con due gemelli siamesi diversi che si odiavano a morte. Uno era alto grosso, ed era il primo che è nato. Il secondo era uscito a ruota, ma per tutta la sua vita era stato sempre un passo indietro a suo fratello. Il primo lo bullizzava, l’altro si difendeva nell’unico modo che conosceva, provocandolo ancora di più. Man mano che crescevano non era solo una questione di posizione nel mondo, ma diventava anche una questione di eredità, quella terra che i loro genitori avevano lasciato e che loro non riuscivano a dividersi perché per qualche recondita ragione che risale al loro passato, non riuscivano proprio ad accettarsi, figurarsi ad amarsi come dovrebbero due fratelli.

Il primo da piccolo aveva subito violenza da bambini veramente cattivi e per dimostrare di non essere debole o forse perché spesso, i bambini abusati, diventano abusanti, sfogava tutto il suo dolore sul fratellino che era lì a portata di mano, specchio della sua stessa vita, parte della sua esistenza perché volenti o no, erano attaccati schiena contro schiena. Su questo tutti i medici erano concordi, i due fratelli non potevano separarsi altrimenti uno dei due, o entrambi, avrebbe rischiato la vita.

Ma come si fa a vivere giorno dopo giorno con qualcuno che odi, perché è quel te stesso da cui non ti puoi staccare mai? Come puoi vivere con i tuoi difetti aggrappati alla schiena, li senti, ma non li vedi. Sai che ci sono. Sono così accecati da quell’odio che li attraversa che non fanno altro che prendersi a botte, tirandosi l’un l’altro per andare ognuno in una direzione diversa senza mai poterlo fare veramente.

Quando mangiano, i due fratelli si siedono a due tavoli con una panca che li accoglie tutte due. Mangiano le stesse cose, sentono la stessa musica, a volte hanno persino gli stessi amici, ma tra loro non parlano. Non ci hanno mai neanche voluto veramente provare, tranne un momento, ma poi il primo che si ritiene più intelligente solo perché ha preso tutto dalla madre, ha sempre pensato che il fratello che gli stava addosso fosse un “burino” come quel padre che non lo ha mai veramente amato perché in qualche modo sentiva che i suoi traumi erano tutti irrisolti e non sapeva come fare perché non aveva le conoscenze adeguate. Così piano piano ci aveva rinunciato, facendo arrabbiare ancora di più il primogenito.

Poi i due genitori sono morti e privi delle uniche persone che li amavano incondizionatamente anche se spesso non erano stati capaci di esprimerlo, i due fratelli sono peggiorati di giorno intorno. Tanto da infliggersi pizzichi, pugni, a volte coltellate. E anche se sanno che fare male a uno, ha conseguenze sull’altro, sono talmente accecati, che non gliene importa niente o non sono più in grado di ragionare e vedere l’altro come un essere umano. Si rimbalzano le colpe, si danno del bugiardo, ma la verità è che si stanno solo uccidendo.

Se foste voi i genitori di questi ragazzi che cosa fareste? Intorno a loro, qualcuno preferisce l’uno rispetto all’altro e considerandoli fenomeni da baraccone, li aizza godendo del sangue che viene versato. Perché c’è gente cattiva anche fuori. Gente a cui piace il sangue, gente a cui piace chi sta peggio. Ignoranti che godono a vedere persone che soffrono. Ci sono sempre stati, da quelli che venivano messi nell’arena e dovevano lottare coi leoni circondati da un pubblico che esultava, o quelli che assistono anche oggi a una lapidazione incitando chi lancia le pietre. Tanto mica ci sono loro nel girone della morte. Gente che ha l’arroganza di voler di controllare i due, di dire loro cosa fare, o male che vada, salvarne uno rispetto all’altro. Quando schierarsi da una parte significa distruggere l’altro. Quando fare il tifo significa accendere gli istinti più beceri. Altri se ne infischiano, fanno così da sempre, quelli che se ne fregano, tanto i due si sono sempre accapigliati, perché dovrebbero fermarsi ora. E poi ci sono quelli del “vorrei ma non posso”, quelli che traboccano di buoni consigli, ma non prendono mai posizione perché questo accada.

D’altra parte, se chi sta fuori alla faccenda non riesce a fare fronte comune, perché i due ragazzi dovrebbero ascoltarli?

Ma arriva un momento in cui bisogna decidere se lasciarli andare. Se decidere che entrambi sono necessari più di un fastidioso mal di gola o se vale la pena farli vivere e trovare il modo di farli vivere insieme senza che si prendano a bastonate anche perché l’uno non può nascondersi all’altro. Perché anche se ora non sono capaci di dimostrarlo, avrebbero entrambi così tanto da offrire.
E allora forse, per salvarli, bisogna prendere decisioni importanti, decisioni che loro non sono capaci di prendere. Per il loro bene, questo fanno i genitori, dicendo che poi un giorno capiranno. Ma per far questo bisogna che il resto del mondo si unisca, non contro uno o l’altro, ma faccia fronte comune per entrambi. Non contro entrambi.

Basta prepotenze, basta arroganza. Se uno è isolato lo sarà anche l’altro. Basta affari con uno se non può farne anche l’altro. Basta possibilità di muoversi per uno se non può farlo anche l’altro. Basta acqua, cibo ed elettricità a uno se non può averli l’altro. Basta armi a uno se non le può avere anche l’altro. Ripetiamolo fino a farglielo entrare in quei cervelli scompensati, che non ci sarà più benessere per uno se non ci sarà per l’altro.

Dovranno dividere tutto e non rubarselo e se affonderanno lo faranno insieme, se si alzeranno lo dovranno fare all’unisono. Se uno cade, l’altro dovrà tendergli la mano. Se uno canta, l’altro dovrà suonare. E gli amici, i conoscenti, il resto del paese dovrà tenere botta, perché non importa più chi spara prima, chi bombarda prima, chi fa più male all’altro, ormai sono andati oltre qualsiasi discorso. Non era già accettabile prima, figuriamoci ora.

Il mondo non è di chi lo occupa per distruggerlo, ma di chi lo migliora, di chi usa la terra per creare sogni, non cimiteri. E siamo ancora molto lontani dalla parola pace, l’unica pace che si può fare ora è quella col cervello. Come si può guardare due persone che si uccidono e inneggiare all’una rispetto ad un’altra. Magari gli stessi che non permettono a un poveraccio che vuole morire di poterlo fare con calma a casa sua.

Come si può, conoscendo la posta in gioco, fomentare l’odio, diffondere menzogne, cadere preda del razzismo? Come si può pensare che la vita di uno dei due vale di più di quella dell’altro? Come si può pensare che i figli dell’uno siano meglio degli altri, o le donne? E viceversa.

Mi vergogno del mio tempo, che invece di trovare soluzioni, sgancia una bomba o costruisce un missile. Mi vergogno del mio tempo dove le decisioni le prendono anziani che invece di essere saggi, sono regrediti a essere bambini capricciosi. E non importano più neanche le ragioni. Ditelo a quei bambini morti, che avevate ragione voi e il motivo per cui la vostra tesi ha dovuto costringerli a morire.

Mi ricordo ancora quando più di 20 anni fa, la segretaria di stato americana parlò dei civili come danni collaterali: ora li si sdogana con una semplicità raccapricciante.

Non mi fanno paura i due fratelli che avranno pure le loro ragioni per accapigliarsi, mi fate paura tutti voi, quelli che non sono capaci di difendere l’unica cosa degna di essere difesa, la pace.

Nel nostro caso, però c’è anche gente che pensa che chi muore su un barcone nel Mediterraneo se la sia cercata, quindi non ci si stupisce. E invece sì, mi stupisco che non si sia tutti in piazza a invocare la pace. Che le Nazioni Unite non riescano a votare una risoluzione. Che non ci sia qualcuno che dice “se volete ammazzarvi, prendetevi a pugni, ma io le armi non ve le do”. Che si possa togliere l’acqua a della gente per far morire altri – che poi non vengono mai presi – di sete. Che non ci sia nessuno che sanzioni chiunque sganci una bomba e uccida un bambino, e a questo punto con 5mila morti da una parte o dall’altra, le colpe che dovrebbero essere perseguite dai tribunali, ma che poi di fatto non lo sono mai, non dovrebbero neanche interessarci troppo i perché quando si è andati oltre, dovremmo occuparci del fatto che non muoia una persona in più di quelle che sono già morte, impedendo a tutte le pedine coinvolte di non agire impunemente.

I bambini si puniscono e perché non loro che si comportano anche peggio? Perché la vendetta, venduta ai saldi come difesa, è accettabile per alcuni ma non per altri?

Perché ad Hong Kong, o in Myanmar, chi scende in piazza contro il potere che l’opprime è trattato da eroe, mentre se il dittatore è nostro amico tutto è fattibile. Perché l’America può invadere l’Iraq (con una bugia peraltro) e farla franca? Perché invece i curdi non possono avere il loro stato, o gli armeni per esempio o il Kashmir? Ma che mondo siamo?

Che razza di gente pensa che un bambino morto possa lavare il sangue versato di un altro? Fermatevi un attimo, prendete un respiro, immaginate di essere l’altro per un solo momento. Mettetevi nelle sue scarpe, come dicevano gli indiani, pure loro sterminati, ma che nella narrazione americana nei film sono sempre stati i cattivi.

C’è una frase del Talmud, ripreso anche dal Corano che dice che “chi salva una vita, salva il mondo intero”. Come vi sentite ad aver ucciso 5mila mondiCinquemila.

Credo che quei due fratelli vadano fermati. Vadano presi per le orecchie e gli vada fatta una di quelle ramanzine come non ne hanno mai sentite in vita loro. Gli va insegnato che non saranno ricordati come dei giusti per aver protetto loro stessi, ma per il male che hanno fatto agli altri.

E non c’è più posto nella Storia per le narrazioni di parte, quella che ci ricorderemo sarà quella degli eroi e delle eroine che hanno lottato per la pace, non per uccidere innocenti perché assetati di vendetta. Dovremmo essere stufi di morti, bombe, interessi, di uomini che decidono chi vive e chi muore. I ragazzi e le ragazze dovrebbero essere stanchi che il loro futuro venga strizzato per poi tornargli tutto stropicciato. Dobbiamo lavorare per isolare la violenza, perché la guerra non sia più un’opzione. Siamo abbastanza intelligenti per farlo?

Solo così i due fratelli siamesi poterono vivere felici e contenti.


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