La Russa, Roccella, Facci e Sgarbi: la cultura dello stupro vince con la compiacenza delle istituzioni

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Dopo la difesa pubblica del presidente del senato nei confronti del figlio denunciato per stupro in cui rivittimizzava la ragazza definendone il racconto “poco credibile”, arriva la difesa della ministra Roccella contestata in Puglia e l’articolo di Filippo Facci al quale la nuova Rai ha promesso un suo programma politico da settembre. Ma perché i danni della vittimizzazione secondaria sono così gravi e cosa significa normalizzare la violenza e la cultura dello stupro? E perché non serve a nulla dire che si è contro la violenza sulle donne, se poi questo contrasto non si pratica nella realtà soprattutto dal momento che le persone in causa rivestono ruoli istituzionali o sono iscritti a un ordine professionale con una deontologia molto chiara in proposito? E che cosa è il racconto porno soft dello stupro e cosa significa voyerismo mediatico?

Video

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I fatti

Ma veniamo ai fatti. Una ragazza di 22 anni denuncia per stupro Leonardo La Russa, figlio del presidente del senato Ignazio La Russa il quale, come già fece Peppe Grillo quando suo figlio fu denunciato per stupro di gruppo due anni fa (il processo è ancora in corso), usa la forza mediatica di cui dispone e soprattutto la sua posizione istituzionale, per “scagionare” il figlio, rivittimizzando così la ragazza ritenendola non credibile in quanto ha fatto uso di cocaina e perché ha denunciato solo dopo 40 giorni. Dimostrando di ignorare, pur essendo La Russa avvocato e pur spacciandosi come uno attento alla materia, non solo che la violenza esercitata su una persona sotto l’effetto di alcol o di stupefacenti è un’aggravante, ma anche che una violenza può essere denunciata entro 12 mesi ovvero quando la sopravvissuta se la sente ed è in grado di farlo. Una presa di posizione sconcertante se si pensa che la seconda carica dello stato ha affermato testualmente di aver “interrogato” il figlio Leonardo e di aver lui stesso constatato che non vi fossero reati penalmente rilevanti rimproverandolo solo “per aver portato a casa una donna con cui non aveva rapporti consolidati”.

La difesa

A cascata, dopo La Russa, ci sono stati il giornalista Filippo Facci e la ministra Eugenia Roccella che hanno solo peggiorato una situazione già in bilico. Facci su Libero ieri ha continuato sulla via della vittimizzazione secondaria della ragazza in un articolo che richiama al racconto porno-soft dello stupro per cui si dà per scontato che la ragazza in realtà “ci stava”, e che “era fatta” quindi nessuno potrà accertare quello che è successo, mettendo anche lui in dubbio la veridicità della denuncia. Un giornalista che non è nuovo a questo tipo di aggressione mediatica sulle donne e che da Giletti azzardò addirittura il paragone tra gioco sessuale e stupro parlando del caso Grillo, offendendo anche pesantemente l’avvocata Andra Catizzone. Un giornalista che, sempre su La7, ha dichiarato che “la linea del consenso è labile”, e al quale la nuova Rai ha dato un programma politico tutto suo nuovo di zecca da settembre dal titolo “I facci vostri” su Rai2.

Ma ancora più grave le parole della ministra Eugenia Roccella che pur dicendosi schierata contro la violenza sulle donne, pur essendosi autoproclamata paladina della filosofia della differenza, pur avendo rispolverato la sua antica passione radicale per accreditarsi al mondo femminile e femminista come vessillo dei diritti delle donne, ieri ha difeso pubblicamente Ignazio La Russa in un intervento a Polignano a Mare, in Puglia, dove si è presa non pochi fischi per aver ricordato che in realtà Ignazio La Russa è stato uno dei pochi ad aver organizzato una manifestazione di soli uomini contro il femminicidio. Uno scivolone che dimostra benissimo quale sia la strada tracciata da questo governo che a parole si schiera contro il femminicidio ma che nella pratica sta andando nella direzione diametralmente opposta dei diritti delle donne: istituzioni che sembrano ignorare che la vittimizzazione secondaria è vietata dalla legge in Italia e nello specifico dalla Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013 e dalla Direttiva Ue per la protezione delle vittime del 2012.

La cultura dello stupro

Il tutto si sta consumando nel silenzio più assoluto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che come prima premier donna si sta dimostrando peggio dei suoi predecessori uomini in quanto ci saremmo aspettate una netta presa di distanza da quanto successo e dichiarato, con provvedimenti sostanziali sulle cariche in questione. Ma il voyeurismo mediatico sulla violenza maschile sulle donne è più forte perché si poggia su una solidissima cultura dello stupro che non solo è strutturale ma ormai completamente normalizzata con la compiacenza delle istituzioni che nei fatti hanno tutto l’interesse che la violenza rimanga un fenomeno sotteso, in quanto metterebbe troppo in discussione quel concetto di “famiglia tradizionale” che è il primo obiettivo di questo governo di estrema destra, e che il riconoscimento della violenza sulle donne nei rapporti intimi metterebbe fin troppo in crisi.

La cultura dello stupro che considera le donne “prede sessuali” su cui si può fare e dire quello che si vuole, che prima ci stanno e poi si pentono, è in realtà funzionale a questo progetto politico e quello che vedremo sarà una capitolazione graduale di tutto quello che è stato conquistato finora. Come ha ben dimostrato il siparietto tra il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi e il cantante Morgan al Maxxi, sulle donne è possibile tutto, anche le offese più indecenti e la denigrazione pubblica è in fondo tollerata perché se è vero che Giuli, il direttore del Maxxi, ha chiesto scusa e il ministro Sangiuliano ha preso le distanze dall’accaduto, Sgarbi è ancora al suo posto e lo stesso ministro, incalzato da diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano le dimissioni del sottosegretario, ha risposto che lui non prende lezioni da nessuno “sulla parità di genere”. Un governo che non solo si arroga il diritto di distruggere quanto conquistato finora ma che ha anche la presunzione di insegnarci come e cosa sia giusto fare in casi come questi.

DonnexDiritti chiede le dimissioni delle cariche coinvolte e segnala Facci all’Odg

DonnexDiritti, oltre a condannare questi episodi, è sinceramente preoccupata del clima che questo governo sta imponendo sulle donne e sui diritti, in cui imbarazza il totale silenzio della presidente del consiglio Giorgia Meloni che come premier e come donna avrebbe il dovere di intervenire su cariche istituzionali che in un altro paese sarebbero già dimissionarie e che invece sono ancora là, tranquille come se nulla fosse successo: istituzioni che si pongono a parole come paladine contro la violenza e che invece fanno tutto il contrario, e non si rendono conto che rivittimizzare significa dare man forte a quel racconto porno soft dello stupro che dovrebbe essere cancellato e che invece viaggia senza ostacoli, anche grazie a giornalisti come Filippo Facci che ripetutamente contravviene all’articolo 5bis del nostro codice deontologico e che invece di essere giudicato, come auspichiamo, viene promosso con una trasmissione Rai.

Per questo DonnexDiritti, oltre a chiedere le dimissioni delle cariche coinvolte, invia quindi una dettagliata segnalazione sul giornalista Filippo Facci al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, di cui il giornalista fa parte, affinché vengano presi seri provvedimenti, segnalazione redatta insieme alle associazioni che da sempre lavorano sulla violenza maschile contro le donne e sulla vittimizzazione secondaria, tra cui Differenza Donna, Donne in quota, One Billion Rising, Rebel Network, Salute Donna e Cassandra.

Questo articolo è stato pubblicato su DonnexDiritti Network


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