Rai. Il peggio sta per arrivare con questo governo di destra destra

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Il motto della destra di Berlusconi era “Se vinciamo non faremo prigionieri”, autore Cesare Previti, avvocato dell’ex Cavaliere, poi suo ministro della Difesa, infine pluricondannato. Era il 1996.  Quella volta gli andò male, alle elezioni politiche vinse Prodi. Nel 2001 Berlusconi si rifece. Tornò a Palazzo Chigi e al alle Comunicazioni mise Gasparri che riformò il sistema Radiotelevisivo, la più ad personam delle leggi, rimandata alle Camere dal presidente Ciampi perché ritenuta in contrasto con la Costituzione sul pluralismo dell’informazione. Gasparri, durante la campagna elettorale, in compagnia di altri bontemponi di destra, a Telelombardia stilò quella che la stampa definì “lista di proscrizione”: Bigi, Santoro, Luttazzi, Marrazzo, Fazio, il Tg3 per intero. Il futuro ministro aveva solo anticipato i tempi, i primi tre della lista, esattamente un anno dopo,  accusati dal premier Berlusconi di aver fatto “un uso criminoso della tv”, furono allontanati dalla Rai e i loro programmi chiusi. Allora pensavamo di aver toccato il fondo, ma come dice il proverbio “al peggio non c’è fine””.

Il peggio sta per arrivare con questo governo di destra destra, che a differenza di quello di Berlusconi non deve preservare le tv di proprietà e non vive un conflitto d’interessi grande come una casa. Quello che il governo Meloni sta preparando per la Rai è ben peggio dell’editto bulgaro: occupazione totale, salvo qualche sedia da picnic all’opposizione, chiusura dei programmi di approfondimento non allineati, sbarco di giornalisti di regime. La Rai non è in grado di porre resistenza a difesa del bene comune, quando il ministro Salvini chiuderà i cordoni del canone per la Rai sarà la fine, a vantaggio delle tv commerciali. Perché la destra destra si appresta all’assalto all’arma bianca quando i tg sono già tutti omologanti? Visto uno visti tutti. L’opinione è stata abolita, l’editoriale pure, tutto ciò per non disturbare il manovratore anzi la manovratrice, nella speranza di mantenere la poltrona o di raccattarne un’altra. Poveri illusi. Vespa, il sarto, è il più coerente, non ha mai nascosto di avere l’editore di riferimento, prima Forlani, poi Berlusconi, oggi la Meloni, sempre pronto a confezionare vestitini su misura. Non si era mai visto che un direttore di tg del servizio pubblico diventasse ministro della Repubblica. La debolezza del vertice aziendale è clamorosa. Cosa si ricorderà di questo consiglio di amministrazione?  E delle dimissioni dell’amministratore delegato Fuortes che dire?  E’ il primo ad abbandonare la nave, anticipando anche i topi, scaricando responsabilità gestionali sul cda e soprattutto dichiarando, alla vigilia della presentazione dei nuovi palinsesti, “di andarsene per non accettare il compromesso di condividere cambiamenti di linea editoriale e una programmazione che non considero nell’interesse della Rai”.  Lui che è il “sovrano” dell’azienda, blindato da un contratto in scadenza tra un anno, l’unico veramente in grado di opporsi alla conquista della Rai. Vedremo nei prossimi mesi se rimarrà a spasso o si collocherà alla presidenza di qualche fondazione, avremo così la risposta al perché di queste dimissioni.

Il cittadino è distratto, non si rende conto che è un attacco al pluralismo, all’Articolo 21 della Costituzione, è preso da altri problemi: la disoccupazione, l’inflazione, la violenza, la guerra, il disastro ambientale, aiutato in questo dai silenzi dell’informazione impegnata a raccontare con dovizia di particolari fatti di cronaca nera, il pugno duro della Meloni contro gli scafisti, il terrore che arriva dal mare, l’armocromista che veste la segretaria del Pd Schlein e l’incoronazione di re Carlo III. L’epoca del milione e mezzo di persone in piazza San Giovanni a difesa del pluralismo del servizio pubblico è distante anni luce.


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