Franca Rame e il tormento contemporaneo 

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Dieci anni senza Franca Rame. Dieci anni senza il suo coraggio, il suo entusiasmo, la sua passione civile e il suo femminismo indomito. Dieci anni senza il suo teatro, senza il suo amore per la vita, senza il suo spirito combattivo e senza la sua capacità di essere sempre al centro della scena, pur non essendo certo una donna animata da manie di protagonismo.

Quando si pensa a Franca Rame, non si può non menzionare Dario Fo: il compagno di una vita, il completamento della sua arte, la persona con cui ha condiviso non solo il teatro e una miriade di battaglie politiche ma anche una certa idea di mondo. E quando parliamo di lotte, nel loro caso, intendiamo anche tragedie: dalle minacce di morte allo stupro, che Franca dovette subire il 9 marzo del ’73 ad opera di un gruppo di fascisti, magistralmente descritto dalla stessa artista in un monologo teatrale intitolato “Lo stupro” (all’interno della commedia amarissima “Tutta casa, letto e chiesa”), pur senza ammettere, almeno inizialmente, che si trattasse di una vicenda autobiografica.

Dario e Franca non si sono mai risparmiati, mai rassegnati, mai arresi, mai fermati. Da quando vennero cacciati dalla RAI, nel ’62, per aver parlato a Canzonissima degli operai che morivano sul lavoro a causa delle scarse condizioni di sicurezza nel settore edile a quando si schierarono, con convinzione, al fianco della famiglia Pinelli, denunciando le responsabilità della Questura di Milano nella morte “accidentale” dell’anarchico che animava il circolo del Ponte della Ghisolfa, nei giorni strazianti della strage di piazza Fontana: una sfida continua al potere, un’iniziativa temuta e avversata che è costata loro ostracismo, discredito e innumerevoli problemi, un’avventura straordinaria e lunghissima che li ha sempre visti in prima fila ogni qualvolta ci fosse un diritto da difendere o una sfida per cui valesse la pena di spendersi in prima persona. C’erano negli anni della sinistra extraparlamentare, c’erano nei giorni di Genova, c’erano quando si trattava di contrastare le basi americane, ad esempio il No Dal Molin a Vicenza, ci sono sempre stati e ci saranno sempre, perché la loro è un’eredità che non si disperde e, anzi, cammina sulle gambe di chi ha tratto esempio dai loro spettacoli e dai loro insegnamenti. Erano unici, d’accordo, sicuramente inimitabili, ma Dario e Franca hanno fatto scuola, amatissimi dai loro allievi e in grado di donare non solo un patrimonio inestimabile di battute e talento ma, più che mai, un esempio limpido, tracciando una rotta e insegnando a chiunque volesse seguirli a percorrere la strada della dignità e del contrasto a ogni forma di barbarie.

Franca ci ha detto addio il 29 maggio del 2013, all’età di ottantatré anni, e chissà che avrebbe detto in questo periodo tremendo, fra pestaggi ai danni dei più deboli, rigurgiti squadristi, una lottizzazione senza precedenti del servizio pubblico e una crisi della democrazia che, senza dubbio, le avrebbe ispirato qualche spettacolo e l’avrebbe vista in prima fila in non poche manifestazioni. Anche per questo ci manca moltissimo. Perché oggi ci sentiamo più soli, più fragili, privi di un punto di riferimento che senz’altro avrebbe saputo trovare le parole giuste per descrivere questo incubo. Eppure, ne siamo certi: Franca non se n’è andata; al massimo, si è spostata a recitare e battagliare un po’ più in là, dove nessun pregiudizio può infangarla e nessuna cattiveria può più farle del male.


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