La natura, la diversità, e l’umano

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“Bones and all”, di Luca Guadagnino, Ita-Usa-G.B., 2022
Con Thimotèe Chalamet, Taylor Russell, Mark Rylance, Jessica Harper

Semplicemente straordinario. Con “Bones and all”, Luca Guadagnino è arrivato, finalmente, a quella vetta cui si era già tanto avvicinato con il precedente “Suspiria”. L’atto cannibalico è metafora di ciò che ti esclude. Divorando i loro simili, i giovani Maren e Lee fagocitano se stessi, richiudendosi in una spirale fatta di inevitabile piacere fisiologico, e, insieme, di consapevolezza di una solitudine e di una maledizione impossibili da vincere. E’ l’esistenza di tutti che sommano i due protagonisti, condannati anche da un passato familiare, insieme simbolico e sostanziale. Il presente è fatto di esclusi e diversi, assetati di sangue ma soprattutto di vita, che si annusano e si riconoscono, si alleano e cercano vittime che gli regalino una impossibile felicità. Alla fine anche l’alleanza si rompe, il terzo intruso nella giovane coppia, Sully, va oltre l’equilibrio squilibrato e viene sbranato da Maren e Lee. Non c’è posto per la condivisione tra chi non ha spazi a sufficienza per amare ed essere amato.

E’ lotta all’ultimo morso, è l’umano nudo dinnanzi a sè stesso. Il sangue non fa più paura allo spettatore, divenuto oramai segno di sconfitte e sofferenze. Insieme vittime e carnefici, i due protagonisti cercano di sopravvivere ad una condizione nella quale sono costretti. Entrambi soccombono, c’hanno provato ad essere felici. Il vero protagonista del film è la giungla dei sentimenti, che non diventerà mai società, che non avrà mai regole nè leggi. Il luogo dell’umano più bello e spaventoso, quello che non ammette compromessi pena l’infelicità. Mai i corpi furono così trasparenti in un film che li mostra a brandelli. Guadagnino rovescia Cronenberg ed ottiene un’empatia visiva che lotta per manifestarsi. Fino al doloroso ma necessario pessimismo del prefinale, dove il sentimento più alto concide con il farsi divorare per dare piacere a chi si ama. Al finale tocca solo la metafisica di due esseri finalmente sereni, intatti, senza più i tormenti che la natura ci regala, condannandoci, inesorabilmente. Due corpi senza corpi, l’unico Paradiso possibile in terra. Una chiusura estatica che tanto rimanda a quella di “Gloria”, di John Cassavetes. Anche lì, un fantasma ridava felicità, a tutti…


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