La rivoluzione del linguaggio giornalistico sulle migrazioni deve aspettare ancora

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Due eventi hanno contribuito a cambiare la percezione del fenomeno migratorio e, soprattutto, il modo di raccontarlo: il viaggio di Papa Francesco a Lampedusa a luglio ed il naufragio a ridosso dell’isola ad ottobre.
Era il 2013. Prima che cambiasse tutto.
Il viaggio del Papa cambia lo sguardo. Ricordo quei giorni sull’isola molto bene. C’era una grande concentrazione di giornalisti, la stampa di tutto il mondo si riuniva al centro del Mediterraneo per seguire il Papa che voleva che il mondo guardasse. Credo fosse proprio quello il suo intento, voleva che il mondo si accorgesse di cosa stava accadendo nel Mediterraneo, già all’epoca la rotta migratoria più letale del pianeta. Lo disse chiaramente al mondo parlando di “globalizzazione dell’indifferenza”. Ricordo bene quei giorni, l’isola di Lampedusa la frequentavo già da molti anni per raccontare i naufragi, gli arrivi, la speranza. Quella presenza del Papa sull’isola cambiò completamente la prospettiva e cambiò il linguaggio soprattutto. Il Papa abbracciava persone. Li chiamava profughi a prescindere se scappassero dalla guerra o dalla fame. Non faceva alcuna differenza, erano profughi e in quanto tali portatori di diritti, il diritto ad essere soccorsi ed accolti, il diritto a sopravvivere e a cercare una vita migliore. Erano persone.

Sui giornali e nei telegiornali, le cronache di quei giorni erano per forza di cose, costrette ad usare il linguaggio normalizzante del Papa ed i cronisti erano costretti ad ascoltare quelle persone che il Papa aveva scelto di far parlare. Su quel palco, quell’altare allestito sul campo sportivo dell’isola con un vecchio barcone,c’era un mio amico, un rifugiato eritreo che lavorava come mediatore culturale nel centro di accoglienza. Ricordo bene la sua emozione quel giorno in cui il mondo si accorgeva della sua esistenza e delle ragioni per cui lui e altri come lui, sceglievano di rischiare una morte probabile nel Mediterraneo piuttosto che una morte certa nel proprio paese.

Persone, profughi, portatori di diritti. Non è banale. È stata una rivoluzione nel linguaggio giornalistico, che in quel momento si è affrancato dalla propaganda politica ed ha iniziato a capire che le parole fanno le cose, come dice il linguista, il filosofo inglese John Austin, le parole danno forma alle cose e possono cambiare la realtà.

Poi, il 3 ottobre, la realtà ha preso la forma della morte. 368 persone annegate a poche centinaia di metri dalle coste dell’isola di Lampedusa. Persone. Le abbiamo viste per la prima volta tutte insieme, i naufragi fino ad allora erano solo nel racconto dei sopravvissuti. Il 3 ottobre il mare ha restituito tutti i corpi, li abbiamo visti in diretta TV, due drammatiche settimane di recuperi. Quel naufragio ha dato forma alle parole del Papa e l’indifferenza globalizzata si è fermata, per far posto ad una gigantesca operazione di ricerca e soccorso in mare chiamata Mare Nostrum. Dissero mai più i grandi d’Europa. Mare Nostrum però, durò solo un anno, ma questa è un’altra storia.

Quella che Papa Francesco ha portato a Lampedusa è stata una rivoluzione nel linguaggio giornalistico che, in parte, dura ancora oggi. Lo vediamo ogni anno noi dell’associazione Carta di Roma che abbiamo questo ingrato compito di convincere i colleghi ad usare parole adeguate al racconto delle migrazioni. Persone, appunto, non clandestini come la propaganda politica preferisce definire chi arriva dal mare.

In questi dieci anni ha resistito e si è consolidata la “macchina della paura”, quel meccanismo che si ripete uguale a se stesso, con una sequenza sempre identica che inizia in primavera con l’allarme di “un milione di persone pronte a partire dalle coste della Libia” e prosegue con la conta degli arrivi nei porti italiani. Una dinamica ansiogena incredibilmente identica ogni anno. I giornali, la tv, la radio, i giornalisti, sono attori spesso involontari di questo meccanismo. Danno conto dell’allarme della presunta invasione, che diffonde paura e poi iniziano a contare gli arrivi. Uno stillicidio di numeri che suscita ansia, produce paura. Anche se i numeri annunciati mai hanno trovato riscontro, mai è arrivato un milione di persone. Quell’allarme aveva ed ha il solo scopo, di annunciare un pericolo imminente e di dargli la forma dei barconi in arrivo dal mare. La paura è gestibile in politica, produce consenso, infatti, tutto questo succede soprattutto in campagna elettorale. La realtà, la vita vera, la verità sostanziale dei fatti sonoun’altra cosa.

Alla fine di questi dieci anni una nuova crisi umanitaria ci ha mostrato la possibilità di un approccio diverso, politico ma anche giornalistico, al tema dell’accoglienza dei profughi. L’invasione russa dell’Ucraina e la fuga di milioni di persone ha cambiato ancora lo scenario ed ha offerto prospettive e chiavi di lettura impensabili prima, come neanche la solidarietà e l’empatia amplificati dalla pandemia, erano riusciti a fare. Le immagini della guerra alle porte d’Europa, hanno prodotto l’effetto capace di cambiare la realtà. Sono state applicate norme internazionali sul diritto d’asilo che nessuna emergenza fino ad ora era riuscita a sollecitare. La determinazione ad aiutare quella popolazione in fuga ha trasformato la paura in abbraccio, tanto che sul sito del ministero dell’interno si legge “benvenuti in Italia” nella pagina dedicata ai rifugiati ucraini. Persino i giornali soliti all’uso un linguaggio più conforme allo slogan politico che al giornalismo, parlano di persone, di rifugiati, sollecitano l’Italia, l’Europa a fare uno sforzo di accoglienza anche se i numeri sono importanti, quasi il triplo degli arrivi via mare.

Ma in realtà questo approccio è unidirezionale. L’analisi di questo ultimo anno di informazione sulle migrazioni, sui rifugiati, sui richiedenti asilo, rivela che c’è un binario parallelo su cui corrono la solidarietà per il popolo ucraino in fuga e l’ostilità, in crescita, verso i popoli in fuga in arrivo dal Mediterraneo.

Un racconto doppio che dimostra quanto sia pervasiva la propaganda politica nel giornalismo italiano.

La rivoluzione del linguaggio giornalistico sulle migrazioni, deve aspettare ancora.

Di seguito il rapporto completo

https://www.cartadiroma.org/wp-content/uploads/2022/12/Notizie_dal_fronte_XRapportoCdR.pdf


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