La Colombia tra sinistra e populismo

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Sconfitta duramente la destra estrema, violenta e corrotta che per decenni ha avuto Alvaro Uribe prima a capo dello stato e poi come potentissimo padrino, la Colombia dovrà tornare nondimeno alle urne il prossimo 19 giugno per scegliere tra sinistra e populismo conservatore. L’ex sindaco di Bogotà Gustavo Petro, 62 anni, in gioventù guerrigliero del gruppo armato guevarista M19, ieri candidato del riformismo più avanzato nelle elezioni presidenziali, è risultato di gran lunga il più votato (il 40,3 per cento). Restando tuttavia lontano dalla metà più uno dei voti espressi, necessaria per essere eletto al primo turno.

Sebbene distanziato di abbondanti 12 punti (28,1), l’ingegnere e costruttore edile di 76 anni Rodolfo Hernandez, anch’egli con un’esperienza di amministratore locale della ricca e industriosa cittadina di Bucaramanga, nel centro-est del paese, sarà il suo temuto avversario al ballottaggio. Egli è riuscito ad accreditarsi presso l’opinione moderata promettendo onestà ed efficienza; mentre evitava però qualsiasi impegno concreto su modalità e tempi d’intervento in una realtà incancrenita dalla violenza più sanguinaria e dalla più estesa corruzione. Ha rifiutato qualsiasi confronto pubblico con gli altri candidati, rivolgendo generiche critiche a tutti.

Sono però noti i buoni rapporti che intrattiene con il mondo imprenditoriale, non esclusi i grandi latifondisti vicini a Uribe e finanziatori storici delle bande paramilitari; cosi come la sua tutt’altro che ingiustificata avversione per la sinistra. Hernandez è stato infatti più volte colpito personalmente con disumana ferocia dalla violenza del banditismo, che in varie zone condivide la clandestinità con gruppi politici armati di destra e di sinistra. Nel 1994 una banda vicina alle FARC gli sequestrò il padre, che riuscì a liberare pagando un cospicuo riscatto. Dieci anni dopo, è scomparsa e non ha mai più riveduto la figlia Juliana, rapita da delinquenti comuni che l’avrebbero poi ceduta a guerriglieri dell’ELN.

Hernandez è cresciuto elettoralmente soprattutto nelle settimane immediatamente precedenti al voto. Probabilmente, a parere di numerosi osservatori, perché la sua figura risulterebbe rassicurante per quanti si augurano un governo capace di frenare la corruzione senza compromettere la ripresa economica. Scavalcato il periodo più tragico del COVID, la Colombia ha registrato nel primo trimestre del 2022 un alto incremento del PIL, vicino al 10 per cento. Confortato da autorevoli economisti, Petro ritiene invece che questa crescita sia poco più di un fuoco di paglia, pur notevole. A suo parere il problema colombiano è strutturale e soltanto un programma di profonde riforme, a cominciare da quella agraria potrà rilanciare un vero sviluppo.

Secondo Petro, in questi ultimi mesi è stato semplicemente soddisfatto un accumulo di domanda rimasto inevaso nella eccezionalmente prolungata pandemìa. Senza alcun effetto sulla riduzione della disoccupazione e della povertà, né incrementi di investimenti, produttività e valore aggiunto. La riforma agraria -che ritiene centrale- deve invece garantire una riattivazione del mercato dei capitali e il ritorno di centinaia di migliaia di persone nei luoghi di provenienza, abbandonati negli ultimi 30 anni per sfuggire alla violenza delle bande armate e dello stesso esercito regolare. Deve, innanzitutto, restaurare lo stato di diritto per tutti i cittadini, al fine di motivarne l’iniziativa. E’ la politica a dover rilanciare non solo l’economia ma lo sviluppo.


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