Il Papa e l’informazione, ecco perché la comunicazione di Francesco è vincente

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L’intervista di papa Francesco pubblicata ieri sul Corriere della Sera dice molte cose. Ognuno di noi ne isola una, quella che più gli somiglia, mentre ne mette in ombra un’altra, quella da lui più lontana. Questo è normale, visto che il papa è un’autorità morale e nel caso di Francesco un’autorità morale che sa  essere tale anche per molti non credenti. Non voglio cadere nello stesso errore, o nella stessa debolezza. Francesco ha parlato della Nato che “abbaia”, ha paragonato il disastro ucraino al genocidio del Ruanda, ha detto che Kirill non può fare il chierichetto di Putin e tanto altro che messo insieme dà un quadro per me molto chiaro. Ma quello che mi interessa sottolineare è una frase, anzi, un pezzo di frase, che per chiunque scriva,  comunichi,  informi, è decisivo.
Come si sarebbe dovuto notare di più di quanto sia fatto il papa sulla scelta di inviare o non inviare armi in Ucraina non ha preso posizione netta: ha detto “non so rispondere”. Questo conta, certo, e uno può prenderlo più tendente al “no”, un altro più tendente al “sì”. Ok, è lecito. Ma quello che non può essere frainteso è il motivo per cui non sa rispondere, che ha indicato chiaramente: “sono troppo lontano”.
In questo “sono troppo lontano” c’è tutto il primato della realtà rispetto all’idea, o ideologia. La realtà precede l’interpretazione della realtà. Parlando dei cristiani marxisti sudamericani, tanti anni fa ha detto che pensavano di essere gli ultimi cristiani, poi si sono ritrovati con l’essere gli ultimi marxisti.
Il papa non segue un’ideologia, ci mette in guardia dalle ideologie, ci chiede di resistere a ogni ideologia. La realtà è più forte dell’idea, ha scritto in Evangelii Gaudium. Vi si legge: “Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma. Da qui si desume che occorre postulare un terzo principio: la realtà è superiore all’idea. Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza. L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento”.
Insomma, per capire e coinvolgere bisogna essere nella storia. Questo non vuol dire che il papa cancelli la dottrina, ma che non apprezza il dottrinalismo, il formalismo “dottrinalista”, o ideologico,  valendo ciò sia per chi segue un’ideologia sia perché ne segue un’altra.
Queste parole di Francesco mi hanno chiesto di fermarmi a riflettere su come ragiono e come discutiamo e come ci confrontiamo sulla base di idee che lasciano la realtà ai margini del confronto.
Il papa, non c’è dubbio su questo, è contro guerra, armi e altre cose così. Su questo nessun dubbio è lecito. Ha voluto esprimersi sulla guerra giusta, finalmente, per delegittimare l’idea che si  possa legittimare un conflitto armato. Ma poi bisogna stare nella realtà per capire, al di là della dottrina, cosa incarni la Parola, non renderla “un’ideologia”, aggrappati a una formuletta.
Io credo che se tutti gli operatori culturali, senza dover negare sé stessi, la loro cultura, la loro formazione, la loro sensibilità, cercassero di guardare la realtà e non di seguire l’idea, il pluralismo non ne risentirebbe perché rimarremmo con letture diverse, ma tornerebbero al centro del confronto i fatti, non le astrazioni. Dicendo astrazioni penso al paragone, all’iperbole, a tutto ciò che estrae il ragionamento dal fatto per renderlo assoluto e ne trae conseguenze sistemiche, dottrinali, o ideologiche. Il metodo diventa allora quello del “discernimento”. Discernere vuol dire saper separare, distinguere. Si può intendere per discernimento spirituale il riconoscere il bene e il male, ma non chi è il buono e chi il cattivo, come fanno i manichei, ma il bene e il male dentro di me. Perché reagisco così? Astraggo? Sto pensando al mio interesse? E così avanti.
“Sono troppo lontano”; queste parole di Francesco sono un manifesto programmatico per chi si esprime sui profughi senza vederli, sui popoli senza conoscerli, sulla vita senza viverla. Allora tante elucubrazioni perderebbero spazio, peso, e tornerebbero in primo piano le persone vere, i fatti nella loro realtà prima che nella nostra interpretazione. Questo discorso però ha delle conseguenze enormi, che, su La Civiltà Cattolica, Gaetano Piccolo ha indicato tra l’altro così: “ Papa Francesco sembra dunque recuperare con un tempismo straordinario il nucleo di un dibattito caro alla tradizione, inserendolo nella discussione culturale attuale, indicandone anche i possibili risvolti etici. Perché il primato del reale, senza il quale il soggetto non si potrebbe neanche pensare, coincide con la consapevolezza di essere inevitabilmente in relazione con il tutto di cui esso è parte”.

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