Le riflessioni dei ragazzi del liceo “Alighieri” di Latina davanti alla panchina per Ilaria e Miran

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Esserci per capire non solo la storia Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ma il significato del giornalismo e dell’impegno nel racconto. Con questo spirito gli alunni del liceo “Alighieri” di Latina hanno partecipato all’inaugurazione della panchina installata davanti alla sede Rai in memoria della giornalista e dell’operatore morti nel 1994 nell’agguato di Mogadiscio. Di seguito riproponiamo le loro riflessioni lette in occasione della cerimonia del 20 marzo.

 

Riflessione di Alessandra Fuoco
Nel corso della storia il colore nero è sempre stato associato ad avvenimenti negativi, alla morte e al mistero.
Noi oggi siamo qui, vestiti proprio con questo colore, per ricordare la scomparsa dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, morti in nome della verità.
Il nero, però, può anche essere inteso come simbolo di un vuoto assoluto, da cui poter rinascere attraverso l’assimilazione dell’accaduto e il desiderio di portare avanti quegli ideali che Ilaria e Miran hanno incarnato durante la loro carriera.
Dobbiamo e vogliamo imparare da questa vicenda l’importanza che hanno la verità e la libertà nella nostra vita, due dei fondamenti senza i quali non possiamo vivere e che molto spesso diamo per scontati.

Riflessione di Giulia Ferrari
Troppo spesso la strada che conduce alla verità è impervia e sbarrata, è un senso unico che termina con la morte del corpo e l’annichilimento della libera informazione. Attraverso uno spirito critico, forse per alcuni eversivo, memori dell’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, abbiamo l’obbligo morale di ricercare sempre l’autenticità, anche a costo di sfidare il silenzio, quello disumano, quello che viene imposto.

Riflessione di Lucrezia Liverani
L’incisività di una penna in mano e una cinepresa sulle spalle: la tragedia dell’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin grida e corrobora questa certezza. Tali strumenti, in cui si incarnano la ricerca libera e pacifica della verità, a quanto pare fanno paura; ma a distanza di ventotto anni, per debanalizzare e acquisire un insegnamento anche da tale atrocità, bisogna ricordare che il linguaggio della libera informazione e della democrazia è molto più potente e imperituro di quello della violenza e del crimine.

Riflessione di Paolo Marcelli
La storia di Ilaria e Miran ci insegna che forse la verità è ciò che più ci spaventa, perché potrebbe rivelarci ciò che non vorremmo sapere, tuttavia noi dobbiamo lottare per la ricerca della verità, poiché è l’unica cosa che abbatte i muri e ci permette di essere liberi di parlare, di scrivere, di pensare e di essere.

Riflessione di Gabriele Tucci
Il lavoro del giornalista è quello di informare le persone e garantire la verità.
E allora perché, se l’informazione è cosi importante e quello del giornalista un mestiere così nobile, il giornalismo è ostacolato in più di 130 paesi (secondo l’associazione Reporter Senza Frontiere)?
Perché in una situazione di guerra come quella attuale in Ucraina, l’informazione viene limitata sia al fronte, con i ripetuti attacchi di questi giorni a inviati e troupe, sia a Mosca con la spaventosa legge sulle fake news, che condanna a 15 anni di carcere chi non si allinea alla versione ufficiale del Cremlino?
La risposta non è semplice, ma è vagamente intuibile:l’informazione fa paura. Una comunità informata è una comunità consapevole di ciò che accade intorno a lei, capace di scegliere e di protestare, e questo certe volte non è visto di buon occhio dai governi di alcuni paesi.
Il caso di Ilaria Alpi non è stato né il primo né l’ultimo: nel 2021 sono stati uccisi 45 giornalisti, e ne sono stati arrestati 488: questa è soppressione dell’informazione e della verità.
È compito di una società civile proteggere l’informazione, perché senza di lei qualsiasi altro concetto democratico e sociale cade, e con essi cadiamo anche noi.

Riflessione di Caterina Lomasto
Tante, troppe volte la verità fa paura, ed è giusto che sia così.
Tante, troppe volte il silenzio è la via più facile, ed è umano che sia così.
Tante, troppe volte il silenzio diventa dimenticanza, e la dimenticanza si trasforma in inadempienza a quelli che dovrebbero essere i cardini di una comunità democratica come la nostra.
Non è accettabile rimanere in silenzio, ed allo stesso tempo è tanto, troppo difficile raggiungere la verità.
Oggi ricordiamo Ilaria Alpi e Miran Hovratin, colpevoli di averla cercata, questa verità, e di aver scelto la via più impervia.

Riflessione di Noemi Usai
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin hanno svolto il loro lavoro con passione e dedizione, affrontando senza paura tutte le ostilità che trovavano sul loro cammino, in nome della conoscenza e dell’informazione.
Vorremmo concludere quindi con questa citazione di Indro Montanelli: “Il giornalismo lo si fa per il giornalismo, per il piacere di farlo. È difficile farlo bene, a volte è anche pericoloso. Il bello di questo mestiere è che si affronta un esame ogni giorno”.

Riflessione di Francesca Stecco
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono due storie che si intrecciano con migliaia di altre in un’unica storia, la ricerca della verità. Pasolini diceva: “La verità non sta in un sogno, ma in molti sogni.”
Pur consapevoli degli alti rischi affrontati, non hanno rinunciato alla loro ambizione di conoscere e narrare la realtà, anche nella sua dimensione più difficile e tormentata. Sconfiggere l’ignoranza senza la libertà scevra di paura di perseguire la verità, sarebbe difficile. “è normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti.” P.Borsellino
I due hanno distrutto quel muro costituito dal rapporto fra paura e corruzione; ricordarli insieme significa farne conoscere le storie personali e al tempo stesso affermare il valore della professione giornalistica e della battaglia per affermare il diritto-dovere di informare, anche quando si affrontano rischi per farne conoscere verità scomode. Hannah Arendt, prendendo come modello Socrate, invitava ad esercitare la capacità di pensare, la sola facoltà che ci consente di attivare il dubbio di fronte al potere e alle sue regole. In questo consiste il coraggio di essere eroi, adoperarsi per realizzare le migliori condizioni nella polis, con la propria volontà e il proprio pensiero critico.
Questa panchina è memoria vivente su chi è morto, per il diritto e il dovere di informare.

(Nella foto i ragazzi di Latina davanti alla panchina)

 


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