È l’a-legalità il volano per le mafie?

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Bari non è una città qualsiasi del Sud. Tra i grandi capoluoghi meridionali, è il solo a non aver mai avuto un univoco centro di potere. È stata spesso divisa da istituzioni e forze sociali difformi e contrastanti: lo Stato e la Chiesa, la magistratura e la mafia, i fascisti e i comunisti, i ricchi e i poveri. Una città divisa, spezzata, lacerata dal profondo e nel profondo. Una città di antinomie e opposizioni, costruita grazie all’apporto di tribù di non baresi, ovvero gente proveniente da fuori che l’ha poi arricchita di fame e di lavoro.

Anche La città spezzata di Leonardo Palmisano è diviso, un libro che si compone di due distinte parti: il positivo e il negativo. Un racconto struggente e nostalgico di un luogo che è anche casa, di rabbia e rimpianto per quello stesso luogo che ai più rimane mistero.

Le parole dell’autore sono al contempo un grido di denuncia e di dolore da parte di un cittadino autoctono che non vuole arrendersi, nonostante tutto, che non può e non deve farlo perché tutti hanno il diritto di vivere una città dove i lati positivi superano e mettono all’angolo quelli negativi. Dove cittadini come lui, che mai si sono tirati indietro dinanzi alla lotta, devono avere il diritto di gioire e godere dei frutti del proprio lavoro. Dove lo Stato e le istituzioni non devono arretrare dinanzi al Male, in ogni sua forma.

Le due parti del libro, in realtà, quasi convergono. Anche la prima parte, il positivo, in molti punti parla in negativo. Anche i racconti “felici” di Palmisano lasciano l’amaro in bocca.

Sembra che comunque e nonostante tutto il positivo resti in una zona d’ombra, oppresso da una velatura di negatività. Come se il male annebbi anche quello che di positivo c’era, c’è oppure è rimasto.

Palmisano racconta della sua Bari, la città che gli dato i natali, che lo ha visto crescere e diventare uomo, scrittore, sociologo, imprenditore. Una città che lui ha sempre osservato e visto cambiare, nella sua solo in apparenza immobilità.

È un luogo che conosce perché ci abita. Certo. Ma quante persone si soffermano a guardare con attenzione quanto accade intorno a loro? Ad osservare gli umili, i vinti, i dimenticati? A parlare con loro e cercare di capire cosa accade? A denunciare le malefatte di chiunque le abbia commesse?

Pochi. Pochi. Pochissimi. E non solo a Bari.

Per l’autore Bari sta perdendo tempo senza accorgersene. Verrebbe da aggiungere che si comporta come l’Italia intera.

Nel welfare, per esempio, che è diventato tutto un gioco di volontariato. La gran parte di coloro che si occupano del sociale sono volontari appunto, ovvero persone che non hanno le competenze necessarie per svolgere quel lavoro.

Il che non vuole assolutamente essere un attacco alla figura dei volontari. Figurarsi. Loro per certo cercano di fare il meglio. Si tratta piuttosto di una critica al sistema che lascia a volontari impreparati e improvvisati il compito di tappare i buchi, anche profondi, lasciati vuoti dallo Stato e dalle istituzioni.

Parafrasando un vecchio proverbio che vedrebbe Parigi potenzialmente simile al capoluogo pugliese, si potrebbe affermare che, senza nulla a cambiare, l’Italia sembra già una grande Bari.

Sono tantissimi gli argomenti che Palmisano tratta nel testo, tutti importanti. Si passa dalla cementificazione indiscriminata e dall’abuso edilizio all’inquinamento nelle sue molteplici forme, dalle discariche abusive e dallo smaltimento illecito dei rifiuti ai roghi simili a quelli della Terra dei Fuochi, dal racket e dall’usura alla ludopatia e altre dipendenze (alcool, farmaci, sostanze stupefacenti, droghe), dalla prostituzione allo sfruttamento, anche di minori e immigrati, dalla delinquenza alle organizzazioni di tipo malavitoso.

Perché accade tutto questo?  Perché il sistema culturale dominante affonda le proprie radici in una diffusa a-legalità che tende ad auto-giustificare comportamenti collusi, corrotti, omertosi, indifferenti.

Questo sostrato sottoculturale produce una legittimazione costante dei comportamenti mafiosi. Il mondo intellettuale locale, ricorda l’autore, raramente ha preso posizione aperta contro la mafia del territorio.

Perché è esattamente così che vanno le cose, a Bari come nel resto di Italia, Europa e del mondo. Un conto è parlare astrattamente della delinquenza e della criminalità organizzata. Altro è affrontarla a viso aperto e a muso duro sul campo.

Sulla prima ipotesi c’è un consenso globale. Sulla seconda decisamente più scarso.

Alla fine del libro, Palmisano scrive una scarna filmo-bibliografia che egli stesso definisce piccola. È oggettivamente breve, per un testo come il suo. Ma non si tratta del classico elenco di fonti da cui l’autore ha attinto nozioni poi rielaborate, o concetti fondamentali della materia. Piuttosto di una lista di letture e visioni consigliate, per così dire.

Egli non basa la sua scrittura solo sui dati forniti da fonti scritte, documentali, visive o altro. Si affida, in prevalenza, a quello che i suoi occhi hanno visto e le orecchie sentito. Per le cui informazioni, solo in un secondo momento, cerca i riscontri oggettivi.

Una scrittura, la sua, che non scivola come un guanto lungo il palmo e il dorso di una mano, no. Piuttosto appare come una grattugia che lacera la buccia agra di un agrume o l’interno dolce di un formaggio.

È una narrazione che colpisce la sua, un racconto vero, quello di chi vive un luogo marcio dentro e non vuol fingere che così non sia. Cosa che accade spesso, purtroppo. Lo abbiamo visto tante volte e per tanti luoghi d’Italia. Nessuno vuole accettare di vivere in un luogo “mafioso”, pervaso e invaso, intriso di malavita e criminalità organizzata, corruzione, collusione… È un’etichetta che nessuno accetta di veder cucita addosso alla propria casa.

Palmisano è un sociologo. Osserva la realtà che lo circonda non da semplice cittadino ma secondo indicazioni e regole che insegna la sociologia e che sono simili o in comune a quelle dell’antropologia e che diventano metodo.

Osservare la realtà che ci circonda, le persone, le azioni, le parole, i silenzi, le relazioni. Ma, determinante per la riuscita di un’indagine, una ricerca sul campo, un’inchiesta… si rivela essere il non fermarsi mai dinanzi all’ovvio. Andare oltre deve diventare una sorta di imperativo categorico.

Ed è proprio una ricerca sul campo, quella condotta dall’autore, portata avanti con conoscenza, competenza e metodo in un “campo” che è anche la sua casa.

A settembre 2018 Leonardo Palmisano riceve minacce di morte, pervenutegli tramite il suo profilo Facebook da parte di soggetti che si sono serviti di profili social risultati poi fake.

In quei giorni Palmisano aveva firmato diversi articoli, apparsi sul Corriere del mezzogiorno, sui legami tra la mafia garganica e quella nigeriana circa la gestione degli affari illeciti del Nord della Puglia, soprattutto all’interno del ghetto di Borgo Mezzanone. Palmisano è anche Premio Livatino contro le mafie e Colomba d’oro per la Pace.

Il coraggio di andare oltre, di andare avanti, sempre.


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