Somalia batte Kenya alla Corte dell’Aja sui confini marittimi

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Alle ore quindici di oggi la Corte Internazionale di Giustizia con sede a L’Aja – l’organo di giustizia delle Nazioni Unite – ha emesso il verdetto per la soluzione della vertenza promossa sin dal 2014 dalla Somalia contro il Kenya per la determinazione del loro confine marittimo, dando in gran parte ragione alla Somalia.

La questione era insorta diversi anni fa e traeva origine dal trattato del 1927, tra Italia e il Regno Unito, che avevano sottoscritto il confine tra i due Paesi sulla terra ferma: un confine che scendeva obliquamente, dagli altipiani interni, in direzione sud est fino alle rive all’Oceano Indiano. Sul presupposto di diritto internazionale secondo cui i confini marittimi costituiscono il prolungamento di quelli terrestri, la Somalia invocava la porzione di mare prospicente le coste del Kenya sino al limite di 200 miglia nautiche dalla costa, laddove il Kenya affermava che il confine doveva invece correre lungo una linea perpendicolare alla costa seguendo la direttrice del parallelo. In discussione c’era, quindi, in triangolo di mare di circa 100 mila chilometri quadrati, ricchi di giacimenti di gas e idrocarburi.

A supporto delle proprie tesi, il Kenya sosteneva di aver raggiunto da tempo un accordo con la Somalia ed in forza di questa convinzione aveva in precedenza venduto, nell’area contesa, numerose concessioni per prospezioni petrolifere ai colossi mondiali del settore suscitando infine la reazione giudiziaria della Somalia. Durante il contenzioso, tutti i colossi petroliferi – tranne l’ENI – hanno abbandonato le concessioni ottenute dal Kenya aspettando prudentemente l’esito della causa.

Il primo a raccogliere la documentazione a supporto delle ragioni somale era stato l’Ing. Mohamed Omar Salihi che le aveva anche difese personalmente nell’udienza dello scorso marzo, ma è purtroppo venuto meno all’età di 69 anni il primo settembre senza aver avuto la soddisfazione di vedere accolte, in gran parte, le sue tesi. La sua personalità è stata oggi ricordata sui siti somali che stanno festeggiando la vittoria.

Ing. Mohamed Omar Salihi

Ing. Mohamed Omar Salihi

Affianco a lui c’era stata, sin dall’origine del contenzioso, l’Avvocatessa somala Mona Al-Sharmani, affermatasi in un importante studio legale di New York dopo aver operato, sin dagli inizi degli anni ’90, come addetta legale nella Missione permanente della Somalia presso le Nazioni Unite occupandosi proprio di questioni di diritto internazionale.

Il Presidente della Corte, il Giudice Joan E. Donoghue, ha letto il verdetto che assegna alla Somalia gran parte della porzione di mare rivendicata stabilendo che, contrariamente a quanto affermato dal Kenya, non c’è mai stato un accordo formale con la Somalia sui confini marittimi e rilevando come, i comportamenti tenuti dal Kenya nel corso del tempo, non risultavano coerenti con la sua linea difensiva.

Avv. Mona Al-Sharmani

Avv. Mona Al-Sharmani

In particolare, il Presidente ha detto che: “La corte rileva all’unanimità che non esiste un confine marittimo concordato tra il governo federale della Somalia e la Repubblica del Kenya che segua quel parallelo di latitudine. Il Kenya non ha costantemente sostenuto la sua affermazione secondo cui il confine marittimo con la Somalia è definito dalla linea di latitudine tra le due parti“.

In effetti, il Kenya aveva sostenuto che un decreto del 1979 del suo ex presidente Daniel Arap Moi, era la prova di aver sempre mantenuto il suo confine seguendo una linea perpendicolare alla costa e di aver sempre trattato l’area marittima contesa come propria Zona Economica Esclusiva (ZEE), sulla quale aveva esercitato i diritti sovrani di sfruttamento delle risorse naturali esercitandovi, altresì, la giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali e fisse.

La Corte ha invece ritenuto che il MOU del 7 aprile 2009, raggiunto tra Somalia e Kenya al fine stabilire il percorso diplomatico per un tentativo di composizione bonaria della lite e le successive riunioni attuative di quel MOU, dimostrassero il contrario di quanto affermato dal Kenya ed ha inoltre ricordato come, un’altra prova in tal senso, fossero i precedenti contatti tra le parti, risalenti agli anni ’80, per una soluzione concordata della crisi, sia pure conclusasi infruttuosamente.

Il confine marittimo tra Somalia e Kenya in base al verdetto della Corte di giustizia internazionale

Il confine marittimo tra Somalia e Kenya in base al verdetto della Corte di giustizia internazionale

Nel suo verdetto di oggi La Corte ha affermato che l’inerzia della Somalia durante i 30 anni di guerra civile non può essere interpretata come un’accettazione de facto delle rivendicazioni sul confine del Kenya ed ha anche respinto le richieste con le quali il Kenya invocava un adeguamento della linea equidistante per ragioni di sicurezza, dicendosi niente affatto convinta che il nuovo confine avrebbe avuto effetti catastrofici sul sostentamento e sul benessere economico dei pescatori kenioti. “17 dei 19 siti di sbarco del pesce si trovano nell’arcipelago di Lamu e quindi non sarebbero interessati dalla linea equidistante” ha detto il Presidente Joan E. Donoghue leggendo il verdetto.

La Corte ha però respinto le richieste di risarcimento della Somalia affermando che la condotta del Kenya, in riferimento all’area contesa, non ha violato il diritto internazionale prima del verdetto.

Infine, la Corte ha chiesto che, sia la Somalia che il Kenya, accettino la sentenza e la sovranità reciproca.

Il Ministero degli esteri keniota, già tre giorni fa e prevedendo il risultato negativo, aveva dichiarato che non avrebbe riconosciuto più la giurisdizione della Corte Internazionale affermando che “La consegna della sentenza sarà il culmine di un processo giudiziario viziato con cui il Kenya ha avuto riserve e si è ritirato a causa non solo del suo pregiudizio ovvio e intrinseco, ma anche della sua inadeguatezza a risolvere la controversia in corso”.

La Corte internazionale di giustizia è stata istituita con l’art. 7 della Carta delle Nazioni Unite ed è retta dallo Statuto adottato a San Francisco nel 1945 con un contenuto che ricalca, in gran parte, quello della Corte permanente di giustizia internazionale adottato nel 1920 nell’ambito dell’allora vigente Società delle nazioni.

La Corte internazionale di giustizia assolve a due funzioni fondamentali: una consultiva, su questioni legali avanzate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o dagli Istituti specializzati delle Nazioni Unite quando essi siano autorizzati a farlo, ed una giurisdizionale, che le permette di dirimere, operando come un organo arbitrale, le dispute fra Stati membri delle Nazioni Unite che ne abbiano riconosciuto la giurisdizione.

Il Kenya ha aderito alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia sin dal 16 dicembre 1963 e risale al 19 aprile 1965 il deposito dell’ultima dichiarazione di riconoscimento della sua giurisdizione, obbligatoria ai sensi dell’art. 36 dello Statuto della Corte.

In base all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite:

1. Ciascun Membro delle Nazioni Unite si impegna a conformarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte.

2. Se una delle parti di una controversia non adempie agli obblighi che le incombono per effetto di una sentenza resa dalla corte, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza, il quale ha facoltà, ove lo ritenga necessario di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere perché la sentenza abbia esecuzione.

Se il Kenya continuerà a rifiutare di rispettare la sentenza della Corte di giustizia internazionale, la Somalia dovrà quindi rivolgersi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per mettere in esecuzione il verdetto vittorioso.

Fonte: blog Repubblica


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