#RFF16: Terrorizers, un racconto corale tra le strade di Taipei

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Il regista malaysiano Ho Wi-ding intreccia a Taipei, capitale di Taiwan, le esistenze di cinque giovani, tre coppie in un racconto corale che tuttavia non riesce a diventare affresco di una generazione. 

Nella capitale di Taiwan, un gruppo di giovani disillusi si ritrovano collegati a un atto di violenza perpetrato in pubblico da Ming Liang, un ragazzo inquieto e disturbato. Cinque personaggi per tre coppie sono i protagonisti di Terrorizers, sesto lungometraggio di Ho Wi-ding, presentato in Selezione Ufficiale alla XVI edizione della Festa del Cinema di Roma.

Ognuno dei soggetti si destreggia tra apatia e difficoltà interiori, cercando di guardare ad un futuro che non assume mai connotati concreti. Yu Fang e Monika, amiche ma non soltanto, sono le figure meglio caratterizzate: la prima studia recitazione e vive con suo padre che sta per abbandonarla – come aveva fatto anni prima sua madre – prossimo alle seconde nozze con la compagna già incinta; la seconda è invece un’attrice che sogna di fare successo ma stenta nel ricevere ingaggi di rilievo e deve fare i conti con un passato nel porno. A far da contorno Xiao Zhang, un giovane innamorato da sempre di Yu Fang che, tornato dopo un’esperienza come cuoco a bordo di navi vorrebbe stabilizzarsi e costruire con lei una famiglia, e Kiki, giovanissima liceale, che ambisce a diventare una nota cosplayer, con una cotta per l’irrequieto Ming Liang. Sullo sfondo, Lady Siaoh, un’affascinante massaggiatrice asiatica che dal suo piccolo appartamento, mentre fuma in finestra, osserva il mondo fuori. L’aggressione di Ming Liang a Yu Fang – colpevole di aver avuto un amplesso lesbico con Monika, verso la quale Ming Lang nutriva un’ossessione amorosa – rimasta illesa grazie all’intervento di Xiao Zhang, che con il suo corpo fa da scudo a quello di Yu Fang – diventa il ‘movente’ per intrecciare le diverse storie, presentate come capitoli autonomi in cui il regista affronta tanti temi della nostra contemporaneità: il disagio che sfocia in violenza, un’identità sessuale non ancora del tutto definita, la difficoltà di affermarsi professionalmente…  Il montaggio, non lineare, ripercorre più volte scene già viste seguendo i punti di vista dei differenti soggetti, tutti coinvolti nelle indagini della polizia. Il regista si muove soprattutto attraverso scene in interni e primi piani e per quanto il suo sguardo vorrebbe essere partecipativo e non giudicante, finisce tuttavia per iscrivere tutti i personaggi in un comune mal di vivere. L’opera si snoda per oltre due ore con un ritmo e una tensione tenute alte da un’azzeccatissima colonna sonora, ma pochi sono i frammenti davvero evocativi o poetici – anche grazie all’eccellente fotografia – e l’obiettivo di regalare l’affresco di una generazione resta tuttavia inespresso.


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