Sapore di miele. La sinistra in Europa

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Un raggio di sole in un cielo plumbeo? Così parrebbe il risultato del recentissimo voto politico in Norvegia.

Hanno vinto sia il partito laburista, guidato da Jonas Gahr Støre che ora si appresta a formare il nuovo governo dopo l’età dominata dai conservatori, sia la sinistra socialista, sia il “partito rosso” (Rødt). Si intravvede, dunque, una stagione ben diversa. Comunque la si pensi.

Se una Norvegia da sola non fa primavera, il filo rosso si sta allungando.

In Germania, il socialdemocratico Scholz sta recuperando molti punti percentuali, ergendosi a potenziale (e imprevisto) successore della immarcescibile Cancelliera Merkel. E l’uomo che viene dal freddo potrebbe dare un colpo alle pigre assuefazioni al potere prevalente negli anni passati.

E poi la Croazia, la Slovenia, il Belgio, il Portogallo, la Spagna, la Danimarca, la Svezia, l’Irlanda o la Finlandia: dove si è via via realizzata un’inversione di rotta, pur con modalità e tempi diversi.

Dall’altra sponda dell’Atlantico, del resto, ci arriva qualche pur flebile voce democratica, ancorché alle prese con la tragedia afghana.

Possiamo affermare che l’era disastrosa delle destre sovraniste sta svanendo? E’ prematuro, ovviamente. La Gran Bretagna si staglia da vicino e dalla Francia non arrivano buone notizie. In Italia, se ci recassimo ora alle urne, assisteremmo alla vittoria probabile di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E’ difficile, comunque, che la legislatura si sciolga anticipatamente, essendo in corso l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza (PNRR).

Tuttavia, si leggono tracce, sintomi di novità. La crisi della globalizzazione condita dalle culture liberiste ha aperto varchi imprevedibili.

Inizialmente, è sembrato che l’humus populista volto a destra segnasse inesorabilmente il clima di opinione.

Sono venuti l’attacco – al di là dei suoi limiti- all’Unione europea e il tentativo di soppiantare l’euro con monete nazionali. Contestualmente, si è aperta la crisi delle forme della rappresentanza democratica e si sono determinate spinte esplicitamente autoritarie. Polonia, Ungheria o Slovacchia ci ammoniscono su quanto reale sia il rischio. E ci ricordano che la strada è lunga e tortuosa.

Il caso norvegese, in ogni caso, è il più recente ed emblematico. Ci induce a sperare.

Stupisce un certo colpevole silenzio dei media. Quanto è stato sbandierato il momento di gloria del qualunquismo, tanto oggi i punti rossi sul mappamondo sembrano relegati a dibattiti tra politologi o analisti della scena internazionale. Forse, che il cambiamento muti di segno è considerato scomodo.

Si preferisce il corpo a corpo tra populismi e tecnocrazie, facce – in verità- di una stessa medaglia. Ma presidio dell’ordine costituito, costruito su crescenti diseguaglianze e comportamenti violenti.

Raccontare la realtà è il primo gradino del diritto-dovere all’informazione. La complessità della storia è da svolgere con precisione e professionalità nei suoi vari capitoli: la coscienza delle persone richiede cura e rispetto.

Altrimenti si è sepolti sotto una coltre di comodefake.


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