Ricordando Antonio Salines, grande comprimario della scena italiana

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Durante l’estate, ci ha lasciato  anche Antonio Salines, grande comprimario del teatro italiano, in questa ennesima stagione di pandemia purtroppo interiorizzatasi come nella “Peste” di Camus. E che procede come una sorta di ‘blade runner’, asfaltatrice che rende quasi anonimi vittime e superstiti. Non solo i “protagonisti”, quindi, (Carla Fracci, Milva, i Maestri Battiato e Teodorakis), ma anche fior di professionisti (Libero Di Rienzo, attore ancor giovane, Paolo Beldì, estroso regista televisivo, Daniele Del Giudice, scrittore perlaceo, Maurizio De Benedictis, critico e docente schivo e commendevole, l’attore Carlo Alighiero) che  hanno contribuito a “fare” (letteralmente “fare”) lo spettacolo e la cultura del “secolo breve’’- e anche oltre massiccio e affabile, impetuoso ed intimamente fragile ( dotato di squisita sensibilità, ed anche timidezza, anche oltre la scena), Salines era nato a Liguria nel 1937 e ed aveva esordito al (dopo una breve esperienza al Teatro Popolare di Vittorio Gassman) al Piccolo di Milano nella “Betia” di Ruzante con la regia di Giancarlo De Bosio -cui fecero seguito “Toller” di Donet (regia di Chereau) e l’eccentrico, svagato, quasi umbratile “Un marziano a Roma” di Flaiano, al suo secondo (non fortunato) tentativo di messinscena- dopo quello finanziato e organizzato dallo stesso autore.

Con Werner Bentivegna e Paolo Carlini, negli anni sessanta, Salines (fisico snello e gentilizio) era stato già fra i  pionieri dello sceneggiato televisivo, nei ruoli di attor giovane ‘galante e inutilmente innamorato’.

Direttore e promotore (con Roberto Lerici)  del Teatro Belli di Roma, Antonio Salines aveva sempre più affinato la sua espressività “vulnerabile” ma “gioiosa” (marcata da quel particolare tipo di “ottimismo euforico”, tipico di chi ha abdicato al senso critico in ogni ambito), collocabile ad un ideale incrocio fra Zio Vania e tanti anti-eroi (fallimentari e testardi) del “sogno americano” denudato e dissacrato da Arthur Miller.

Lo  ricorderemo anche in “Chi la fa l’aspetti”, “Il malato immaginario”, “provaci ancora,Sam”la più sapida e intelligente trasposizione italiana del film di Allen. Di cui Salines firmò anche la deliziosa, divertita regia.

Lo ricorderemo con stima e amicizia.


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