Ancora non c’è la stagione della responsabilità

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Tante le manifestazioni che oggi animeranno la Sicilia e il resto d’Italia. E’ il giorno dedicato al giudice Giovanni Falcone straziato assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, dal tritolo collocato sotto l’autostrada Palermo/Trapani all’altezza dello svincolo di Capaci. La cittadina palermitana ha visto dare il suo nome a quella strage.
Andiamo a Capaci
Cominciamo proprio da Capaci per raccontare questa giornata. A Capaci c’è chi quel botto ancora lo sente e ha formato la propria cittadinanza alla responsabilità. Ma c’è chi ancora fa finta di sentire il botto ma persegue le solite vie del malaffare e della collusione. Un giorno, era il 23 maggio 2017, ci fu un maresciallo dei Carabinieri, Paolo Conigliaro, che chiamato sul palco a tenere “lezione” ai tanti giovani presenti, decise di parlare in certo modo anche agli adulti, perché quegli studenti cominciassero a coltivare il coraggio di indignarsi e diffidare da certuni. Finì che per quell’intervento parecchio severo sopratutto per gli amministratori comunali, venne querelato da alcuni di questi amministratori, due per l’esattezza, che oltre che essere consiglieri comunali erano come Conigliaro sottufficiali dell’Arma. Cosa disse Conigliaro? Non fece altro che trasferire a chi lo ascoltava la maniera sacra di fare il maresciallo e comandante della stazione dei Carabinieri a Capaci: quel botto per lui fu la spinta a condurre precise inchieste, indagini che misero in evidenza come certi mafiosi in quel paese continuavano a comandare e a intrecciare rapporti con la politica. Mafiosi “facilitatori” per risolvere determinate nodi, anche quelli, per esempio, della realizzazione di un centro commerciale. La costruzione di queste aziende si era già cominciato a scoprire in quegli anni erano gli affari nuovi di Cosa nostra che così facevano impresa a chilometri zero, senza bisogno di spostarsi. Arrivò così la querela anticamera di tutto quello che nei mesi seguenti Conigliaro ebbe a subire: le indagini che finivano archiviate, la proposta di scioglimento del Consiglio comunale (sindaco era Sebastiano Napoli) per inquinamento mafioso finita chiusa in un cassetto della scrivania dei suoi superiori gerarchici che si guardarono bene dall’inviare alla prefettura, la “cacciata” dal comando della stazione. “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Il luogotenente Paolo Conigliaro aveva scoperto che l’art. 54 della Costituzione veniva da certuni calpestato a Capaci, e questo come se il tragico botto continuasse a perpetuarsi. Una convinzione che gli è costata caro. Oggi è sotto processo per diffamazione dinanzi al Tribunale militare di Napoli proprio per la querela dei suoi colleghi. Il pm è convinto di averlo incastrato per alcune cose scritte su una chat privata di whatsapp condivisa con suoi colleghi. A leggere quelle chat però più che diffamazione c’è una certa ironia, amara ironia, ma per i querelanti ironizzare non è cosa lecita. A Conigliaro è stato negato anche l’esercizio dell’articolo 21 della Costituzione. A leggere quelle carte c’è scritto che neanche alla luna avrebbe potuto parlare. Il luogotenente Paolo Conigliaro seguì così la stessa sorte del capitano Bellodi uscito dalla penna di Leonardo Sciascia. Bellodi sfidò il potere mafioso, arrestò il capo mafia don Marianino, ma i magistrati non gli diedero ragione, il “don” tornò libero e Bellodi andò via. Ecco nel 2017 la scena de “Il Giorno della Civetta” divenne vera proprio mentre un alto ufficiale dell’arma, il generale Robusto, in una manifestazione pubblica a Valderice disse con certezza che l’Arma non avrebbe più conosciuto “un caso Bellodi”. A sua insaputa (sic) invece la cosa stava accadendo.
 Ecco dobbiamo raccontarle queste storie se vogliamo ricordare Falcone, che in vita non è stato mai celebrato come da quando è tragicamente scomparso per quell’attentato replica della primo tentata strage del 1989 all’Addaura, anzi ostacolato da suoi colleghi come quel “Giuda” che pilotò la sua bocciatura alla guida dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, ma altri avversari oltre quel Giuda incontrò sulla sua strada.
I politici, i sindaci
  Oggi è la giornata in cui vengono usate, e spesso sprecate, pecche dette da voci che dovrebbero star mute, tante parole, anche da parte di certi politici, per dirla come diceva Franco Battiato, incapaci di spogliarsi di loro bestialità.
Oggi saranno tante le ghirlande messe un po’ ovunque, anche sotto l’indicazione di una piazza, come succede a Trapani, dove ancora non c’è davvero un segno esteriore limpido che ricordi quel magistrato che cominciò la sua carriera nella nostra città capoluogo. Ci sono voluti anni per vedere dedicata un’aula del Tribunale a Falcone e la cosa avvenne per la caparbietà dell’allora presidente del Tribunale Mario D’Angelo. Dall’archivio del Csm è saltata fuori una lettera (la potete vedere in calce a questo nostro articolo) di elogio scritta a Falcone dall’allora presidente del Tribunale Cristoforo “Rino” Genna.
Anche a Castelvetrano per le vie dove è cresciuto ossequiato Matteo Messina Denaro, si ricorderà Falcone, all’indomani del rinvio a giudizio si un’accozzaglia di politici che per gestire il peggior potere si sarebbero associati in una loggia segreta.  A Castelvetrano, dopo lo scioglimento del Comune per inquinamento mafioso, conseguenza proprio dell’indagine che adesso approda in Tribunale, l’operazione Artemisia , c’è una giunta guidata da un sindaco 5 Stelle, Enzo Alfano. Ci sembra uno di quei pentastellati che arrivati a ricoprire incarichi istituzionali si sono dimenticati della rivoluzione che a colpi di “vaffà…” era stata annunciata alla gente. Nella città del boss Matteo Messina Denaro e dove vivono tanti di quei suoi complici tornati liberi dopo lunghe detenzioni in carcere, la rivoluzione pare non essere manco iniziata. Alfano oggi sembra seguire la strada di certi suoi predecessori che dimenticavano di costituirsi come parte civile nei processi. Fino a questo momento nel processo Artemisia (principale imputato l’on. Giovanni Lo Sciuto e con lui anche altri ex politici come Felice Errante, Vincenzo Chiofalo, Luciano Perricone) il Comune di Castelvetrano non si è costituito, lo hanno fatto invece l’Ars, l’assessorato regionale alla Formazione, il ministero degli Interni, l’Inps e una preside).
La stagione delle responsabilità che non c’è
Ed allora. Fateci il piacere di ricordare Falcone dicendo chiaramente che la stagione delle responsabilità a quasi 30 da quelle stragi del 1992 non è mai decollata. E lo si dica anche nei Palazzi di Giustizia dove regna ancora la regola di distruggere il magistrato che lavora e spesso a farlo è il collega della porta accanto. Dove apposta ci sono stati giudici )consultate gli atti del Csm sulle ispezioni) impegnati a distruggere istruttorie dando nel frattempo tempo e modo alla mafia di diventare impresa.   Dove talvolta si incrocia chi ha scarsa perseveranza nel dare giustizia. Non la voglio portare sul personale, ma mi brucia la condanna per aver detto una frase etimologicamente corretta, quando diedi del pezzo di merda ad un mafioso, pezzo di merda perché notoriamente appartenente alla montagna di merda della mafia frase uscita dalla voce di Peppino Impastato.  Fiducia alla gente le istituzioni non possono darla a parole ma con atti concreti e purtroppo per come vanno le cose serve coraggio per rompere certi schemi, quando certe cose dovrebbero accadere nella normalità. E invece siamo cittadini di un Paese attraversato da una perenne crisi etica che minaccia il presente quanto il futuro. Vogliamo ricordare davvero Falcone? Facciamolo , come spesso ci esorta a fare don Luigi Ciotti, scoprendo la bellezza di essere eretici. Eresia in greco significa scelta,  “L’eretico – dice don Luigi – è colui che più che la verità ama la ricerca della verità”. E sulle stragi c’è ancora tanta verità da scoprire e non è vero che è tutto chiarito e scritto, che la mafia è stata sconfitta.  C’è una mafia che a dispetto delle sentenze resta forte e arrogante, che mantiene le sue possibilità di infiltrarsi nelle istituzioni e nell’impresa, perché c’è una politica che per una parte gradisce essere complice, e servire al momento ritenuto opportuno. E i mafiosi spesso ce li ritroviamo molto prima di quei famosi cento passi di Cinisi. A 30 anni di distanza dalle stragi ci viene da dare ragione a quel “tutto è finito” detto da Antonio Caponnetto al giornalista Rai Gianfranco D’Anna quando era appena uscito dalla casa di Paolo Borsellino appena ucciso in via D’Amelio. Quelle stragi dovevano mettere fine a due magistrati e fermare la loro rivoluzione e le loro indagini.
Trapani, città inturciunata
Come successe a Trapani quando nel 1988 fu ucciso Mauro Rostagno che poteva essere il leader della “primavera trapanese” e invece siamo ripiombati nei peggiori autunno e inverno. E la città è tornata ad essere da allora in poi una città “inturciunata”. A Trapani il sindaco Tranchida ogni giorno affronta una battaglia, ma vincere la guerra è difficile, se nello scenario politico restano presenti soggetti che della politica fanno usi distorti. Dopo le stragi, ricordiamolo, abbiamo avuto i lenzuoli bianchi stesi dai balconi ma anche la stagione dei depistaggi ad oggi rimasti senza i responsabili individuati. Trapani i depistaggi li ha conosciuti da vicino per tutti i grandi delitti, da Ciaccio Montalto alla strage di Pizzolungo, da Mauro Rostagno ad Alberto Giacomelli. Un poliziotto penitenziario, Giuseppe Montalto, fu ucciso perché la sua morte fosse il regalo di Natale ai boss detenuti. Nessuno per loro ha mai steso lenzuoli bianchi, e ancora oggi queste morti sono senza verità e giustizia. Rostagno si interessava anche a Gladio, come Falcone.
Infine
Parafrasando Alessandro Baricco , c’è gente che muore e con tutto il rispetto non ci perde niente. Ma l’elenco di nomi scolpiti nelle coscienze di alcuni sono di quelli che lo senti che non ci sono più.
Ce ne sono di argomenti per parlare seriamente ricordando le stragi e i morti uccisi perché volevano che la libertà fosse davvero cosa di tutti. Ed invece viviamo in un Paese, perenne terra dell’inganno, nel cui bordello la Libertà ha perduto la sua anima. Anche perché non ci sono più uomini come Falcone e Borsellino. Loro che ci spiegavano bene come la lotta alla mafia non era un compito solo di magistrati, giudici e investigatori. La lotta alla mafia passa inevitabilmente dalla cultura e chi vieta i cambiamenti è parimenti responsabile  come   e più dei mafiosi…….

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