Ciao Lidia, messaggeria di pace 

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Per uno di quegli strani incroci del destino, la partigiana “Bruna”, al secolo Lidia Brisca Menapace, se n’è andata lo stesso giorno in cui papa Francesco ha annunciato di volersi recare in visita in Iraq come messaggero di pace. Per la pace Lidia ha vissuto, lottato, sognato, sperato e anche profondamente patito, fin dalla giovinezza, quando aderì alla Resistenza non in segno di rivalsa ma di riscossa, rivendicando il bisogno di un riscatto civico e morale per un Paese avvelenato dal fascismo e devastato dalla guerra e dall’invasione nazista dopo l’8 settembre.
Ho avuto modo di conoscerla tre anni fa, in occasione di una riunione post-referendaria indetta del comitato per il NO alla riforma costituzionale voluta da Renzi: sempre in prima fila, ancora una volta, nonostante avesse già passato i novanta e avvertisse con evidenza il peso dell’età. Quel sabato di gennaio pronunciò un discorso bellissimo, di cui mi colpì un passaggio in particolare: fu quando propose, per il successivo 2 giugno, di vedersi tutti insieme, magari in un parco, e portare ognuno un alimento per dar vita a un grande pic-nic democratico. Un pic-nic costituente, repubblicano, laico e profondamente sincero, come lo era stata lei per l’intera vita, fin dagli anni giovanili, quando faceva parte del cattolicesimo progressista e della DC degasperiana, in un’Italia che stava per vivere la stagione esaltante della rinascita e del boom economico.
Fortissimo fu su di lei l’impatto della fase conciliare, inaugurata da Giovanni XXIII e portata a compimento da Paolo VI: uno dei momenti di massimo rinnovamento nel percorso millenario della Chiesa, di cui Francesco è degno erede.
Fu allora che la partigiana Menapace avvertì il bisogno di approfondire i temi del marxismo, del movimentismo e delle contestazioni, nel bel mezzo dei fermenti sessantottini che tanto bene hanno fatto a una società ancora bigotta e per molti aspetti retrograda. Fu allora che pagò a caro prezzo le sue scelte, perdendo la cattedra alla Cattolica di Milano per via di un saggio su Marx e compiendo la svolta decisiva di un’esistenza lunga e meravigliosa. Aderì al gruppo del Manifesto, al PDUP e a un’idea di comunismo per nulla dogmatica, complessa com’era lei, in grado di far incontrare le persone più diverse e di far coesistere al proprio interno tutte le idee di sinistra, le sue molteplici soggettività e la sua naturale tendenza a essere rivoluzionaria. E lei, la partigiana “Bruna”, rivoluzionaria lo è stata sempre, un’anticipatrice straordinaria di gusti e tendenze, una femminista a ventiquattro carati, senza mai risultare stucchevole, capace di concepire la politica nella sua accezione più alta e nobile e di impegnarsi nelle istituzioni con lodevole entusiasmo, senza mai rinunciare al suo istinto ribelle e combattivo che la portava spesso a pronunciare frasi non convenzionali e a scontrarsi con l’ipocrisia drammaticamente in auge in questa fase storica.
Inutile ogni paragone con la mestizia corrente. Di Lidia Menapace conservo il ricordo di quel sabato, la dolcezza delle sue parole e l’incredibile forza d’animo di una donna che ha contribuito a scrivere le pagine più belle della nostra storia. L’ha stroncata il Covid all’età di novantasei anni. È l’unico nemico dell’umanità contro cui si è rivelata vana la sua indomita battaglia.

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